martedì 28 luglio 2015

Lars Rock Fest (Chiusi) Live Report

Impossessarsi dei suoni altrui fermati nel tempo sulla preziosa plastica nera di un disco o trascrivere, come un dattilografo delle emozioni, la musica in parole non ha nulla a che fare con l’essere artisti; dotati di una gentilezza insolita, i ragazzi del Lars Rock Fest non sono d’accordo e mi accolgono a Chiusi con un inadeguato pass ARTIST, nella loro generosità quasi naif, bruciati dal sole che li ha accompagnati nelle lunghe ore di preparativi. 


Dal tramonto velato dalla malinconica tonalità seppiata di una copertina Seventies fino alla notte ancora caldissima, mi è concesso ascoltare i concerti accoccolata in un angolo tra i case del service e il mixer, scoprendo che le assi del palco, tremanti sotto i colpi inferti alla batteria e sotto le frequenze più basse, sono una postazione privilegiata che io difendo con timido riserbo.
Per me, resta l’esemplare coerenza della line-up, che si snoda nella serata del venerdì tra il techno-pop lievissimo e siderale dei Crayon Made Army e i beat ematici dei Drink to Me, preludio al trionfo del camp sonoro degli Unknown Mortal Orchestra: amoreggiando su ritmiche disinibite, in cui il basso opulento ma definito si unisce in amplesso ideale con la batteria essenziale, Ruban Nielson lancia verso il pubblico la sua voce iridescente carica di effluvi sentimentali; tuttavia, c’è troppa leggerezza d’animo nei dancefloor scintillanti evocati dai lievi tocchi di tastiere per soddisfare la mia inguaribile tristezza.


Questa è la provincia ma, almeno per due sere in un anno, possiamo vivere la fiaba che ci conduce oltre i confini della nostra marginalità geografica e musicale: sebbene non faremo mai a meno dei venditori ambulanti con le loro enormi arancine e delle famigliole in libera uscita, anche così lontani dai grandi palchi mondiali abbiamo la nostra dignità di indefessi maniaci musicali.




Solo la serata di sabato placherà l’atavico e primordiale bisogno di torturarsi con l’angoscia tradotta in musica, in un masochistico rito catartico officiato da Squadra OmegaGo!Zilla Soft Moon.
La conventicola esoterica dei primi tre disorienta con suite destrutturate, perforando lo spessore asfissiante dell’atmosfera con fendenti di sax, mentre il compito di diffondere sudore in dosi copiose è affidato ai Go!Zilla: power-trio alimentato ad adrenalina e ferocia garage, corrono instancabili su sfrenate andature psychobilly macinando kilometri sonori come istanti.

All’improvviso la notte domina sulla placida provincia e prepara l’arrivo della luna morbida: non affiderei la gestione della mia tristezza a Luis Vasquez ascoltando i suoi dischi o dopo averlo visto aggirarsi nel backstage in jeans e stivaletti impeccabili fin troppo distratto, ma la cruda disperazione della performance dei Soft Moon mi costringe a ricredermi. Le sue grida da uccello ferito in riverbero escono dal microfono propagandosi come segnali d’allarme, il pubblico di devoti assiste attonito ed entusiasta mentre il mio corpo secerne naturalmente la serenità che solo la musica nutrita dall’oscurità sa darmi.



© Foto di Valeria Pierini

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