LE SCIMMIE - DROMOTOUR 2012




Le Scimmie abbandonano la giungla adriatica e partono per l'Est Europa. Stordisco sarà con loro ad aggiornarvi giorno per giorno con foto e piccoli stordenti post. Preparatevi al peggio. Noi già lo siamo.


Di seguito le date ufficiali:

-6 September 2012 - Budapest, HU (@ "Szféra") 
-7 September 2012 - Lviv, UA (@ "Starushka") 
-8 September 2012 - Kiev, UA (Robustfest @ "Bingo") 
-9 September 2012 - Chernigov, UA (@ "Garage")
-12 September 2012 - Warsaw, PL (@ "Piwnica pod Harenda")
-13 September 2012 - Szeged, HU (@ "Club Noir")
-14 September 2012 - Cluj, RO (@ "Zorky")
-15 September 2012 - Timisoara, RO (@ "Atelier D.I.Y") 
-16 September 2012 - Beograd, SRB (@ "Klub Fest")


DROMOTOUR GIORNO DOPO GIORNO

Articoli by Michele Taddei e Marco Montagano
Foto by Marco Taddei




Dromotour Giorno 0: Ostregheta.


Caro Pedro purtroppo non abbiamo fatto in tempo a passare a prenderti e così sei rimasto a casa. Perdonaci ma almeno così nel furgone siamo più larghi. Ci manchi un po'. Ieri sera verso le 22.45 mentre eravamo in una piccola sala prove di Limena - non ti dico i giochi di parole - ci siamo voltati sentendo chiaramente la tua presenza ma naturalmente non c'eri. Verso mezzanotte e dopo non poche ore di chiacchiere sul gruppo metalcoremotherfuckerstonersludge (d'ora in poi “Quella roba lì” nel testo) più figo del momento, è spuntato fuori un ragno enorme striato di giallo e di nero. Forse eri tu. Non saprei dirti di preciso. Forse era lo spirito dell'est che rombando si presentava alla porta strisciando i piedi sullo zerbino per ripulirsi dal fango delle steppe. Dromotour, giorno 0. Comincia la scalata dello stivale. Limena è un piccolo gradevole scorcio di Ucraina nei pressi di Padova. Luca degli Aidan ci offre il suo tetto. Pioggia, brontolii e orari rigorosamente non rispettati. Ti scriviamo dal pavimento come al solito. Buonanotte, per il momento.

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Day 1: @Budapest - Szfèra

 Carissimo Pedro, non ci manchi per niente. Stiamo molto bene anche senza di te. Ciononostante ti teniamo nel cuore e ti nominiamo spesso. Oggi siamo partiti senza colpo ferire ad un orario che non ricordiamo lasciandoci subito alle spalle la contrada di Limena e 100 euro di diesel. Abbiamo attraversato il confine sloveno con i Drive like Jehu nello stereo mentre tutto intorno escavatori d'ogni genere cercavano di cambiare inutilmente la faccia della Terra. Valicato il confine finalmente ci siamo ritrovati nella sussurrata civiltà slovena non dissimile dalla sopita follia austriaca (almeno nei paesaggi del tutto simili ai vecchi diorami Lima per i modellini dei treni) con in più le autostrade praticamente gratis e il prezzo del pieno abbattuto. Veloci come proiettili dentro panetti di burro, attraversiamo luoghi senza nome e caselli fossili. Ninnananne metal ci hanno cullato fino al nuovo limes, quello ungherese, che si spalanca in men che non si dica come cosce di velluto davanti al musetto congestionato del nostro Iveco. Il sole gronda succoso da nuvole grigiastre e poi pian piano le fa scoppiare. A Budapest ci accoglie la luce del tramonto, l'est bolle come nessuna capitale occidentale. Questo ci sorprende anche se era prevedibile. Che senso ha tornare indietro ora che siamo qui ? C'è suono di denti che stridono e il vento magiaro ci trasporta alle porte dello Szfèra dove il tour delle Scimmie ha finalmente il suo battesimo del sangue.
Dromotour: giorno 1.
Szfèra: sorta d'incrocio tra pub e circolo Arci nostrano, accoglienza apprezzabilissima con pizza panettone doppia farcitura e pinte Peroni-style rigorosamente Soproni. Poco dopo le 20:00 i Primati vengono chiamati sul palco dove lo spazio permette posto solo alle percussioni. Xunah resta inchiodato al suolo sottostante come l'evoluzione ha voluto. Un set di quarantacinque minuti, tra nevrosi ritmiche e incudini elettrificate di un Epiphone Dot 335 a cui è stato sagacemente abraso il marchio. Nella scaletta ha brillato come un eroe somalo di 20.000 anni fa Habanero. I componenti del gruppo immersi in una marmellata di niente e di nulla rincorrono le loro stesse braccia in cerca di accordi e rullate. Pubblico sadicamente immobile all'inizio, dopo un paio di pezzi accusa presenza di ritmo con un lieve headbanging. Nonostante le apparenze, la platea rumoreggia variamente eccitata. Donne bionde osservano la fisicità scarna di Xunah che accenna vanamente ad un “tenchiù” sottovoce. Ma come tutti sappiamo il vero rocker parla sempre tra i denti. Usciamo dal buio e angusto antro, con le orecchie che fischiano e la testa rumoreggia di una frattaglia rugginosa non ben definita. Tempo un'ora e nel tugurio inizia a sventolare la bandiera d'oltre Urali dei “The Grand Astoria”, band dagli intenti stoner ma piuttosto hard rock-prog oriented e questo vuol dire che almeno un loro componente è un prete vegano. Insomma.





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Day 2: Dromotour jumping L'viv


 Caro Pedro, avresti dovuto esserci: gli americani ci hanno offerto da bere tutta la sera e ora la mattina è lenta, flaccida e sottile sulla moquette del Blacksheep Hostel. La data di oggi salta causa conflitti interni dell'organizzatore e noi ne approfittiamo per avviarci con gran calma alla frontiera Ucraina immaginando una passeggiata di salute. Non sapevamo che sarebbe stata la giornata più lunga della nostra esistenza. L'Ungheria è rigorosa ma ben rassettata, l'Ucraina invece si presenta più spigolosa. Alla frontiera i simpatici giovanotti di guardia ci vedono arrivare e subito si danno da fare per colpire il nostro immaginario: sguinzagliano un cane antidroga, ci chiedono maliziosamente se abbiamo marijuana, eroina o armi con noi, ci costringono a segnalare il contenuto del nostro bagaglio su di una dichiarazione, visionano la dichiarazione e poi ci consigliano simpaticamente di mentire sul valore del materiale che trasportiamo così la chitarra baritona di Xunah vale 100 euro e la batteria di Mario appena 40. Dopo un paio d'ore di blocco, mentre il sole dell'est si fa palla di fuoco sfocata, ripartiamo in cerca dell'eterna Leopoli (L'viv per gli indigeni). L'idea è proprio quella di un paese abbandonato da Dio ma non dai cani randagi. Vicino al confine si vende tutto per strada su banchetti pericolanti gestiti da vecchie matrone o giovani angelici fiordalisi biondi. Le cose cambiano ben presto quando cominciano le montagne. Freddo. Sono montagne non alte ma possenti. Fanno un buio cupo e perfetto. La notte scende senza luna e senza stelle. Tumulati nel nulla, comincia il film horror. L'viv è ancora distante ma dalla notte emergono zombie di ogni genere. Non ci sono lampioni sul ciglio della strada e la gente si muove nelle tenebre come guidata da un istinto di sopravvivenza luminescente. Tutto intorno fremono i TIR. Uno sbirro ci ferma ma non capisce un cazzo di inglese e ci lascia andare come un boss di periferia. Nessuno capisce l'inglese in Ucraina, le scritte sono in cirillico, possiamo solo spiegarci a numeri o a rutti. Non abbiamo ancora una Grivna in tasca quando arriviamo all'Ostello di L'viv, affossato in un vecchio palazzo draculesco. Per entrare serve la combinazione come per un passaggio segreto. Dentro è un carnaio di letti a castello e turisti in trappola. Scricchiolanti assi di legno, un buco di stanza diviso coi rumeni Methadone Skies e la voglia di dar fuoco a tutto e scappare è sempre più alta. Sogniamo di uomini e capre al guinzaglio: e l'Ucrania è già dentro di noi.

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Day 3: Robust Fest@Kiev


  Caro Pedro, abbiamo finalmente scoperto perchè in Ucraina non c'è nessuno, perchè sono tutti a Kiev, in enormi palazzi da 20 piani. Ma andiamo con ordine: sveglia alle 4 di mattina ora locale (le 3 da voi esimio Pedro) e partenza sonnambolica dal Folliahostel. Il diesel costa meno di un euro al litro. Mettiamo 40 euro ma al serbatoio pieno ne avanzano 8: li recupereremo con maxi dose di redbull e patatine speziate. Intanto contro le avversità pensiamo a Kiev, al Robust fest e alla moltitudine di band che si esibiranno. Il 10 saremo a Kalush dove il prode Xunah ha rimediato una data all'ultimo momento in sostituzione di quella di L'viv saltata per aria. L'Ucraina è una tabula rasa. Nessuna autostrada e ti ritrovi a circolare con i carretti e le mucche al guinzaglio di silenziose vecchine che si stagliano su orizzonti lunari. Kiev appare all'improvviso su di un altopiano. E' il Partenone. Per trovare il Bingo facciamo un inversione ad U in mezzo ad un incrocio a sei corsie. All'ingresso del Bingo giovanotti paleocristiani vestiti di nero ci perquisiscono. E così ogni volta che entriamo ed usciamo dal locale. Non si fidano, hanno paura delle bombe. Il Bingo è un enorme ambiente in odore di mafia russa accogliente e spietato. Le Scimmie suoneranno alle cinque come quarto gruppo su di un palco montato ad arte in una specie di arena interna, forse un ex cinema forse un ex teatro. C'è un bar dove si può fumare. Un cesso dalle pareti viola hipster. Al piano di sopra c'è lo strip bar. Le Scimmie si esibiscono dopo i Methadone Skies. I nostri gemelli di tour suonano robusti come se volessero far uscire le budella ai loro strumenti. La platea è grande e il pubblico sparuto ma coinvolto, i volti nell'ombra emergono come sudari e gli occhi scintillano stragodendo della possente amplificazione. E' la volta di Krobak, un progetto del chitarrista degli Stoned Jesus, accompagnato da un violinista e due avvenenti valkyrie totalitarie rispettivamente al basso e batteria: un post-rock d'ipnotiche reiterazioni con commento visivo dell’ultima puntata di Twin Peaks. Dopo di loro ecco Xunah che sale sul palco e posiziona specularmente i suoi due Vox mentre Mario monta i piatti sulla Pearl offerta dal Bingo. Già dalle prime note il pubblico si anima in modo convulso, il pogo e la soddisfazione sul volto delle biondissime fan dello stoner rendono giustizia al viaggio infinito. Decapitato il set con la roncola rugginosa di Filo di Lana, i Primati dell'Adriatico firmano svariati autografi, immortalando la loro immagine sulle macchinette digitali degli entusiasti avventori del Robust Fest. Gran finale nel camerino a bere vodka con musicisti russi, polacchi ed ucraini Al nostro ritorno nell'arena troviamo i veri beniamini della serata: i tedeschi Samsara Blues Experiment ma i fumi alcolici ci impediscono di dare considerazioni oggettivo-stilistiche su di loro. Considerando le nostre teste che si scuotevano a tempo, però ci sono piaciuti. Le Scimmie dormono su dei letti questa sera: il giusto premio per una roboante serata.




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Day 4: Road to Chernigov 

 Caro Pedro oramai è chiaro che siamo stati proiettati in un b-movie girato dal fratellastro mafioso di Kusturica. Ma come al solito andiamo per ordine. Mattina di relax al santuario della guerra dell'ex potenza sovietica. Mario si fa una foto all'interno di un cacciabombardiere della guerra fredda. C'è una statua alta non so quanto, una sorta di Giovanna d'Arco incrociata con la Statua della Libertà e scopriamo così che su Kiev scintilla ancora la falce ed il martello ma è come se la popolazione non se ne dolga, come se stesse facendo un pic nic a Pestum, gli ucraini ridono e si fanno le foto con i loro bambini sulle macerie di quello che fu. La strada per Chernigov non è molto lunga ma incappiamo in   un problema tecnico: dopo un pieno ad una stazioncina che vendeva anche nani da giardino ci ritroviamo con il filtro del diesel danneggiato. E' il caso di dire: figlio di puttana. Il diesel era annacquato. La questione pare grave ma dopo un paio di giri su internet ci rendiamo conto che possiamo andare avanti, cambieremo il filtro più in là. E finalmente ecco Chernigov. Accoglienza interessante: cupole d'oro, dimensione a misura d'uomo, centro storico europeizzante. Xunah, cosa strana, dice che gli piace. Come al solito il GPS non trova l'indirizzo che abbiamo impostato e come al solito chiedere indicazioni è un'avventura nella semiologia. Ma troviamo un tassista simpatico alla stazione dei treni che con suoni pittoreschi e grandi gesti delle mani callose ci dà una speranza. Troviamo L'Etual Club e ci rendiamo conto che c'eravamo passati davanti dieci volte ovviamente. Come descrivervi l'Etual Club? Un ristorante quasi di lusso con dentro un club e fuori una riproduzione in ferro della torre Eiffel. Noi suoniamo nel club e la location pare una bettola da puttanieri anni ottanta. Ti aspetti di vedere Jerry Calà ed invece spunta il nostro contatto Alex. Come descrivervi Alex? Facile: un batterista con un Land Rover. It dosen't work, qualcosa chiaramente già non va. Alex è il tipico ucraino allevato dai lupi, fisco da pesi walter, occhi di ghiaccio e cicatrice sul sopracciglio frutto di qualche rissa forse proprio con il suo amico Sasha Do Tank ( Sasha il carro armato), ennesimo ucraino completamente militarizzato ossessionato dal passo dell'oca e dal suo petto villoso. Sasha sarà protagonista del concerto Alex del resto della serata. Mettetevi comodi perchè ce ne è da raccontare. 

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Day 4: @Etual Club Chernigov 

Caro Pedro
noi che ti rivolgiamo queste righe che forse non leggerai mai oggi ci sentiamo un po' dei sopravvissuti. Il concerto sta per iniziare. Tra i tavolini si aggira una mora da togliere il fiato, gambe sinuose, assurdi scarponcini rosa aperti sul davanti, sguardo tagliente. Tutti virilmente facciamo dei commenti. Poi Alex poco prima del concerto ci presenta sua moglie: è proprio lei, la mora. Maledetto Alex, tutte le fortune capitano a lui. Alle sette gli ampli stanno già rombando il primo pezzo dei Methadone Skies, di nuovo con noi. E mentre ci godiamo i loro pezzi poderosi Alex ci offre birra a ruota. Birre di ogni genere. Le Scimmie vendono già dei Cd: sono un paio di ragazzi del Robust Fest venuti apposta da Kiev per risentire il lor concerto e accaparrarsi il disco. Le skimmie (così li chiamano da queste parti) iniziano il loro set ed è subito il caos. Sasha in pantaloni mimetici misura lo stanzone del club in su ed in giù a grandi passi zomboidi. Alex pare sul punto di flippare ed il suo occhio ceruleo si fa malefico. Sua moglie sta seduta in un angolo. Un muro di pochi ma buoni ciondola al ritmo di Dromomania. Un paio di altri energumeni si uniscono alla mischia e, saltando sul posto come immani ciclopi incazzati perchè Ulisse li ha  fregati, fomentano un pogo rachitico, come se avessero paura di scontrarsi l'un con l'altro e dar vita ad un terremoto. Non posso non pensare che a 100 km in linea d'aria c'è Chernobyl e noi stiamo assumendo radiazioni insieme ai nostri drink. Anche questo è rock'n'roll. Intanto Alex parte per la tangente con la maglietta delle scimmie indosso inizia a lacerarsi la gola con un screamo alla Anal Cunt che gli fa onore ma non gli permetterà di accedere al regno dei cieli. Sasha è a petto nudo, centurione invasato dai suoi avi massacratori di popoli. Le Scimmie non fanno niente per risolvere la situazione anzi soffiano sul fuoco della pazzia. Un odore di sudore e pizza fritta avvolge la stanza, il calore è distruttivo, sembra quasi possa scioglierti le ossa. Durante la coda sonica di Habanero Xunah, chitarra a terra, avvia il rito dei pedalini e delle distorsioni: subito Alex si fionda presso di lui ed insieme eseguono un grandguignolesco minuto di rumore intollerabile. Non è finita. Tutti vogliono il bis. E ce l'hanno. Ne vogliono ancora. Di nuovo pane per i loro denti.  I colpi di un gran concerto. Sasha vuole comprare la maglietta delle Scimmie ma gli fa cagare e scompare in qualche trincea. Alex non lo ferma più nessuno. Rapidamente si smonta il palco come se dovessimo lasciare spazio a delle lap dancer. Sono le 20 e abbiamo finito. Fuori dall' Etual Club l'Ucraina intera, ma non usciremo mai dal locale, motivo? Alex. Come dicevamo Alex aveva perso il controllo e da buon ucraino non trova meglio da fare che offrire a scatafascio: ottimo, direi, ma in altre condizioni. Infatti noi siamo in regime di pseudo relax dato che domani per arrivare in tempo a Kulash dovremmo svegliarci alle quattro. Alex che parla e capisce l'inglese non riesce a comprendere appieno questo passaggio. Scompare. Noi rimaniamo nel locale con i Methadone. Anche sua moglie scompare. Anche la sua macchina non c'è più. Passano un paio di ore. Alle 23.00 ci pare chiaro che Alex ci ha fregato, se ne è andato senza pagare il cachet per la serata e noi saremo costretti a dormire nel van. Chiediamo spiegazioni ai tizi dell'Etual ma loro Alex lo conoscono appena e non sanno dove sia andato. Davide si adagia sul sedile davanti del Van rincorrendo le ore di sonno. Noi attendiamo ancora un poco e poi seguiremo l'esempio del nostro avveduto pilota. Ma i colpi di scena sono lungi a finire.
Alex torna al locale. E' totalmente caricato a molla per fare serata. I Methadone cadono nella trappola tesa da una capelli neri lunghi ma non rendono conto che i loro cicchetti non li porteranno da nessuna parte perchè il suo ragazzo è lì pronto a difendere l'onore della sua pupa dall'esuberanza rumena. Ma fatto sta che si stanno ubriacando come  matti. Alex cerca di recuperare le redini della serata. Varie proposte. Vodka. Droga. Ragazze. “We only need to sleep Alex”. “Ok ok ok no problem”. Vari tira e molla. La moglie di Alex suona il clacson inferocita. Alla fine, alle 24 si parte dall'Etual. Svegliamo Davide tumulato nel Van. Alex è da qualche parte nei pressi della sua automobile. I Methadone semi abbattuti si ficcano nel loro mercedes. La testa di Alex spunta dal tettuccio. Il suo dente storto scintilla nella notte di Chernigov. Cinque minuti e siamo a casa. Alex sbaglia tre volte il piano dell'ascensore. Sta scherzando. Con i Methadone decidiamo di ucciderlo se se ne presenta il caso. Il corridoio del palazzo puzza di percolato. Le porte ricordano le cantine delle case popolari italiane. Dentro, la casa è grande, ma è arredata così spartanamente che riteniamo la usino come location per girare film porno. Divani letto. Tendine. Vodka nel frigorifero. Alex non si blocca, vuole bere. Per placarlo accettiamo il cicchetto della staffa. In cinque ci ficchiamo in una stanza. Alex ci dà la buonanotte anche con un certo sentimento ed in quel momento mi chiedo se in Ucraina tutte le serate si concludono così. I Methadone rimangono con lui. Spegniamo le luci. Mettiamo le sveglie. I bagordi non sono una ninnananna ideale. Parlano di cash, contanti. Xunah si affaccia per dare uno sguardo. Torna con il faccione di Benjamin Franklin, 100 dollari che puzzano di mafia russa ad un miglio di distanza. Paura e delirio a Chernigov si conclude così in un appartamento per battone al tredicesimo piano di uno stabile putrefatto nel cuore dell'Ucraina ed una certezza: tutti sogneremo il crine nero rilucente della immane Madre Russia.
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Day 5: @Grizzlynight Maxwell Pub Kalush


 Caro Pedro da cinefilo quale sei probabilmente avrai visto La Horde, film francese a base di zombie e mafiosi. Al mattino ci rendiamo conto che l'appartamento nel quale Alex, quel gran figlio dell'Ucraina, ci ha segregato può tranquillamente passare per l'ambientazione del film horror di cui sopra. Sveglia alle 4 del mattino con disorientamento totale compreso nel prezzo. Si alzano anche i Methadone Skies. Xunah dice “Come si dice buongiorno? Good Day?” Mario bestemmia e poi rutta. Il mattino non ha affatto l'oro in bocca ma solo rimasugli di vodka impastata sul palato. Ok fuggiamo da Palace La Horde. Prima di uscire fuori, ad un passo dal portone, però c'è un momento horror: una vecchia da un angolo buio con voce chioccia ci copre di insulti in ucraino, il suo tono non lascia dubbi. Crito crito crito. Cretini, cretini, cretini. Usciamo. Speriamo che il furgone sia ancora lì. L'incognita Ladro Di Furgoni è troppo forte nella folle equazione di Alex. Già ce lo vediamo che si schianta con l'Iveco dentro qualche bettola. Per fortuna il van è ancora lì, intatto e sereno, raccolto in un parcheggio diseredato, avvolto in quell'umido accappatoio della notte che precede l'alba a Chernigov. Si parte. L'alba screzia i palazzi. La prateria attorno a Chernigov sembra fluttuare su di un lago di nebbia. Ben presto si fa chiara la situazione: abbiamo davanti a noi circa 12 ore di furgone, su strade che sono una merda, sconnesse e infinite, circondate da un labirinto di verde, mucche, capre e cavalli al pascolo. 800 km di buche sobbalzi e sbirri sempre pronti a farsi pagare per un ipotetico limite di velocità di 50 km orari su strade dritte come fusi. Sulla strada incredibilmente veniamo raggiunti dai Methadone Skies, anche loro in fuga da Chernigov sul loro Mercedes zigano. Sono le 19 e qualche minuto quando giungiamo al Maxwell Pub. Ci accoglie Max, un fanatico di sé stesso, incline all'idiozia. Ci dice subito che gli piace l'Hip Hop. Il locale è una sorta di Irish Pub enorme che scende sotto terra. Ci servono da mangiare. Zuppa di non so che con crostini, funghi panati e fritti con contorno d'insalata. Dopo un viaggio del genere e, a forza di vedere bestiame, uno si sarebbe aspettato magari d'ingurgitare una bistecca grande quanto un comò. Per una volta l'odio verso il mondo di Xunah è condiviso da almeno tre quinti di noi. Le Scimmie salgono sul palco e avviano la serata con la scaletta standard. 76 cameriere e una caposala dal capello nero disegnato col bisturi osservano curiose e divertite. Max presenta il gruppo al microfono. Arrivano dei tizi. Fanno riprese e foto, alcuni si scuotono con noi. Il duo neanderthaliano infila una performance tecnicamente tra le migliori finora. Xunah fa casino con i pedali, Mario smoccola in giro mentre suona. Nessuna parola verso il pubblico, un gesto della mano per ringraziare. Solo il classico spettacolo Scimmiesco a metà strada tra autismo e negazione del compromesso. I nostri amici rumeni iniziano il loro show. Oramai è il caso di parlare del solo sound: strumentali esplosioni in un misto di psichedelia, stoner e post-rock. In pizzalandia abbiamo i Montezuma di Pesaro ai quali sarebbe facili paragonarli ed infatti il batterista dei Methadone dice di conoscerli. La gente si eccita e si lancia in una piccola mischia aggrovigliante a due passi dal palco. Due tipe si baciano al bancone. Le cameriere cercano di mantenere il controllo del pub ma non ci sono speranze. Scopriamo ora che la serata si chiama Grizzlynight. E ben presto infatti si presenta l'orso siberiano, l'enorme ucraino ubriaco di turno. Testa calva educata ai rigori del nord, naso da Cesare, movenze da karateka strafatto di insetticida ed eccitanti. Incredibilmente si chiama Sasha come il Do Tanku di Chernigov. Probabilmente li fanno in serie. La serata sfocia in un bis e poi in un impressionante serie di atti gratuiti tra cui: performance live di Con Te Partirò (adeguatamente lordata) cantata da Rasputin (Davide) e John Lennon (il sottoscritto Taddei), una jam blues ignobile guidata da un ucraino armonicaro che vuole assolutamente certi accordi per fare il suo pezzo: a giudicare dalla faccia del bassista dei Methadone se fosse successo in un campo di cotone agli inizi del secolo scorso si sarebbe trovato il coltello per il cocomero in gola in cinque minuti. Altra cosa che in Ucraina si fa in serie oltre agli sbronzoni sono gli organizzatori: anche Max come Alex se la dà e ad un certo punto scompare. Partono illazioni sul suo conto: è un bastardo, un traditore, uno scoppiato. Ed illazioni su dove dormire: nel locale, a casa delle cameriere, nel van. Ci adagiamo nel Van. Dopo una mezz'ora c'è Max che bussa sul vetro. Ci porta a casa sua, una villa immensa arredata con gusto reazionario. Scopriamo così che Max (leggi i genitori di) è (sono) straricco (straricchi) e che quella abitazione così fastosa è solo la casetta di un esagitato ventisettenne proprietario di un locale in centro. Impietoso il paragone con il giovane ventisettenne italiano. Max si è portato il barista dal suo locale, Sasha sbronzo ed un altro dei quali ho già rimosso forma e contenuto. Vogliono bere. Solita solfa: è tardi - dobbiamo alzarci presto - domani Varsavia. Siamo gentilmente forzati a cicchettare. Dopo i cicchetti riempiono una tazza di vodka e la mettano a giro. Ad ogni sorso si può bere un po' di succo di frutta. La Vodka sa di acido da batteria. Ora capiamo perchè i concerti li fanno alle 20.00: così dopo possono fare baldoria fino a notte fonda. Prima di coricarci su di un divano letto dignitoso, in bagno sono costernato da una visione: c'è il bidè. Sono commosso.

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Day 6: Two Coke in Varsavia

  Caro Pedro, Max sta ancora dormendo quando andiamo via. Nella sua reggia c'è puzza di vomito. Ci saluta il barista o qualcuno di molto simile a lui. Ci basta così. In poche ore siamo al confine, Prima di fermarci vogliamo saggiare per l'ultima volta l'ospitalità ucraina e decidiamo di fermarci in un ridente villaggetto affetto da scorbuto. In un chioschetto con tavolini chiediamo hamburger, sandwich, kebab ma niente, ci tocca lo “sharmun” e la tipa si incazza anche un po'. Carne di pollo, cetrioli, insalata e pasta di piadina ripiegata a regola d'arte. Forse confondendosi Xunah dice che è buono, ma pare che sia proprio così. Fila al cesso e in cinque minuti siamo al confine. Addio Ucraina. Addio alle tue mille città dal nome di donna, addio alla Kiev splendente, addio ai campi di calcio invasi dalle mucche al pascolo, addio all'aria che sa di gas di scarico, di fumo d'incendi o di cipolla. Addio ai tuoi sbirri che in 3 giorni ti fermano sei volte e due volte su sei si fanno corrompere per 20 o 30 euro. Addio ai tuoi orizzonti dove c'è sempre un pennacchio di fumo come di battaglie mai terminate, mai sopite, mai dimenticate. Addio alle tue capre, alle tue galline, ai tuoi tacchini, alle tue capanne, ai tuoi organizzatori di concerti da esiliare in Siberia. Addio al fremente scalpiccio delle tue figlie sulle tue misere strade. La Polonia è subito tutta una cosa differente. Siamo magnetizzati verso Varsavia, risucchiati quasi, e mentre scaliamo l'Europa la notte cala con un docile smarmellamento del cielo. Improvvisamente siamo all'Emma Hostel. Rapido check-in e poi incontriamo Karol, amico di Davide e guida maratoneta sempre cinque metri avanti a noi. Cena a base di piccantissimo kebab. Xunah si affida all' I-Ching e decide oscuramente di acquistare non una ma due coca-cola bevendo solo la seconda e lasciando orfana e tiepida la prima. Taddei è ribaltato d'intestino e anche noi siamo mal messi. I locali chiudono a mezzanotte qui e molti, arrivando alle undici, non ci lasciano entrare. Fatto sta che si beve una birra in un caldissimo buco-vodkeria, si va in un quartierino un po' più defilato, dove all'entrata del vicolo troviamo un manifesto della serata de Le Scimmie del giorno dopo e ci si fa un'altra birra in un pub con dildo alle spillatrici e Pearl Jam nello stereo. Di ritorno all'ostello farsi la doccia sarà la cosa più esclusiva e incredibile dell'intera giornata.

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Day 7: @Fonobar Varsavia

 Caro Pedro ci svegliamo alle 9.30 e la Polonia ci circonda ancora. Decidiamo di approfittare e di dare uno sguardo alla città per saggiare il nostro coefficiente turistico. Ci diamo varie mete: negozi di dischi, botteghe di libri, un posto dove mangiare qualcosa. Nella strada dove ha sede il nostro ostello c'è uno degli squat più famosi di Varsavia, un palazzo di cinque piani dagli infissi pericolanti con i mattoni a vista. Da fuori non c'è molta vita ma la cosa più interessante è che a cinquanta metri c'è la stazione di polizia. C'è un po' di ironia in questa convivenza. Varsavia è grande e spirituale. Il cuore di Chopin giace sotto una pietra della Chiesa della Santa Croce; su di un palazzo stanno finendo di dipingere una gigantografia di Lana Del Rey. Le cameriere sono tutte incazzate e le zuppe di cavolo rosso hanno un aspetto da b movie. Enormi viali ci portano alla città vecchia di cui possiamo assaggiare poche sparute stradine ma ricche di quel fascino azzannate che hanno i luoghi antichi dell'est. Cambio di location: dal Piwnica Pod Harenda le Scimmie suoneranno al Fonobar. E' già tardi, bisogna ripiegare verso il locale e dare la dose giornaliera di robusto stoner agli amici polacchi. La sera arriva felina, avvolta di un rosso industriale di luci che si riflettono sulle nuvole pesanti. Gocciola. Piove. Scarichiamo appena in tempo. Il Fonobar si presenta come un locale più lungo che largo. Scalini e luci blu. Il cesso è nello scantinato ed è un tugurio ma sul suo specchio però ecco apparire l'effige di un uomo con la maschera di cavallo. Il bar è luminoso, dà l'idea di essere una specie di medusa fotoelettrica che sta acquattata sul fondo di un acquario scurissimo. Il soffitto basso all'inizio intimorisce. Ogni genere di tavolo e tavolino e disposto ordinatamente dietro il mixer, il palco è dignitoso e palco luci ricco. Io e Mario consigliamo al tecnico di darci solo luci bianche e continue, puntiamo alla crudezza: il tipo fa cenno di aver capito. Le Scimmie suonano per secondi. Intanto fuori la pioggia non si placa, aumenta, fino ad allagare la zona non fumatori con una cascata horror lungo la porta che ricorda la scena degli ascensori di Shining. Gli organizzatori sono ragazzi svegli e pronti a tutto pur di farci sentire a nostro agio: ci piace. Il primo gruppo che si esibisce rompe i coglioni in men che non si dica. Il suo miscuglio insopportabile di non so cosa è digeribile per appena cinque minuti poi diventa lacerante: si esibiscono per una buona mezz'ora. La gente dà segni di cedimento. Qualcuno beve. Tra questi un polacco dei cretaceo, grande grosso e dotato di casco che ci prende in simpatia. Peccato che ogni suo tentativo di approccio sfoci in un gesto di violenza. Vuole mostrarci la sua moto fuori (è sicuramente una trappola) e rifiutiamo, facciamo una foto assieme e ci abbraccia sadicamente con una morsa d'acciaio, ci fissa con un mezzo sorriso senza dire nulla come se stesse sul punto di impazzire. Con lui un amico completamente sbronzo che dorme al loro tavolo. Per farci divertire piazza sulla testa di lui il suo grosso casco da motociclista senza regole e morale e quel povero corpo inerte attacca ad oscillare a destra e a sinistra. Ironia polacca. Pavel ride, anche noi ci divertiamo ma in tutto ciò c'è qualcosa di malvagio. Cerchiamo di seminare Pavel, diventato incorreggibilmente appiccicoso. Grazie all'aiuto di Karol, esperto di casi umani, ce ne liberiamo. Le Scimmie si esibiscono. Con loro suona lo spirito santo impazzito in persona. Ad un certo punto il palco si riempie di fumo e luci stroboscopiche partono con la grazia del peggior Cocoricò. Le Scimmie diventano sagome oscure su uno sfondo lattiginoso. Mario scompare in un fosso fumoso, Xunah cerca di tenere le cose sotto controllo. Habanero si affaccia alla fine si battezza così una scaletta più impegnativa ma più fruibile per il pubblico che può sentire senza sosta tutta la robustezza del set del duo e godere una coda sonica nel finale. Il pubblico ascolta robotizzato. L'animo polacco è impenetrabile. Qualcuno accenna ad un headbanging che è sempre cosa buona et giusta ma le persone ascoltano attente come ad una lezione di filosofia. Sul palco salgano gli Stoned Jesus. Di loro non dirò nulla se non che non il lor batterista fermato alla dogana era stato sostituito temporaneamente dal loro autista. L'avventura al Fonobar giunge al termine ed inizia la nostra ultima serata a Varsavia. Roger l'organizzatore ci piazza a casa di una certa Julie, polacca appena trasferitasi in un nuovo appartamento completamente privo d i qualsiasi suppellettile. In pratica ci offre il suo pavimento. Julie parla e parla, lo spirito polacco al contrario praticamente, ci racconta di Roma dove ha studiato beni archeologici ed intanto sul tavolino affiorano una bottiglia di Palinka ed una di Vodka. Domani la sveglia è alla cinque dio pane e lei tira fuori gli alcolici. Vabbè in parole povere non s idorme. Verso le 2.00 ci raggiunge il prode Roger assieme alla' amico Simon che si esibirà poco dopo nel numero: addormentarsi a sorpresa sulla tazza del cesso. Si parla di tutto, politica, storia, usi & costumi, parolacce e Berlusconi con l'energia dell'Europa sotto i trentanni che cresce e vuole alzare la testa. In cucina, dove il buon Davide riposa il sonno del pilota, suona la sveglia. I tempi sono maturi per una nuova incredibile partenza. Regaliamo a Julie una poesia a base di bestemmie che lei non comprenderà mai. Il van si mette a fuoco. 850 chilometri ci separano da Szeged.

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Day 8: @Club Noir Szeged


 Caro esplicito Pedro ben trovato. Come stai? Sei pettinato? Ti sei tagliato le unghie dei piedi? Lavato le ascelle? Noi no e va bene così. Szeged è bellissima ma lontanissima da Varsavia e siamo qui in furgone a cercare la strada per l'Ungheria. Inizia il nostro sport preferito: attraversare confini. Iniziamo con la Slovacchia dove dribbliamo con il nostro van un'antichissima dogana comunista rimasta lì in attesa di diventare l'ennesimo Mcdonald's dell'est occidentalizzato. La strada che attraversa la verde Slovacchia è priva di moralità, i camion sfrecciano a tutta velocità su stradine di montagna ad un passo dallo specchietto dell'Iveco. Pioggia. Nebbia. Conifere. 1000 metri sul livello del mare e poi giù. Attraversiamo l'Ungheria e siamo a Szeged città fatta apposta per lasciare il segno. Il buco che ospiterà i decibel delle Scimmie per questo raffinato giovedì magiaro è il Club Noir, una piccola, dignitosa bettola recuperata per i capelli. Siamo un paio di metri sotto il livello della strada. Dietro il bancone c'è Robert il proprietario e organizzatore della serata: un personaggio uscito da un film di Robert Rodiguez, codino, occhio azzurro da surfista, estetica messicana. Il cesso puzza di piscio ma c' è il backstage per gli artisti. Un paio di clienti sono accomodati sui divani che accoglieranno le nostre chiappe per la nottata. Scarichiamo. Assieme a noi, i nostri fratellini Methadone Skies e un gruppo locale stoner. Pian piano l'affluenza aumenta. Gli indigeni aprono i giochi: suonano un'ora di quella roba lì d'impatto elefantino. Ma il batterista ha il tocco leggero, parola di Mario. Si suona in un grottino dal soffitto a botte tipo sala di tortura medioevale. Dopo di loro tocca ai Methadone Skies con il loro “awesome show” a cui ci hanno abituato. Le birre intanto girano farneticanti. Alcuni personaggi iniziano a delinearsi. C'è Lemmy dei Motorhead con la sua tipa morfinomane dai capelli rosso ciliegia, un certo Liviusz pronto a tutto per una birra, la simpatica Ildikò dai cappelli rossi che gli arrivano giù giù fino al mandolino. A corredo una variegata masnada di amanti della fatale introspezione stoner. Le Scimmie attaccano i jack ai loro marchingegni per picchiare duro davanti a 3 persone di numero, la cosa scazza Xunah che maledice l'Ungheria e i suoi figli, senza però fare il conto sull'effetto sorpresa tipico della tattica ungherese di iniziare ad entrare dal secondo pezzo in poi. Fomentati anche dalla barba urlatrice di Davide, il grottino dove ha sede il palco si riempie di volti tumefatti dagli spostamenti d'aria. Succede di tutto nel giro dei 9 pezzi in scaletta. L'accolita riunitasi si infiamma e tra urla, grida disarticolate, headbanging neanderthaliani, ondeggiamenti alcolici, profezie sussurrate all'orecchio davanti a muri di amplificatori, scorticamenti, formiche mentali e rosoni ancestrali che illuminano chiese antidiluviane pare che Xunah alzando una mano abbia detto il solito “Thank you”. Mario, poderosa octopus, dalla sua alcova non sente e non vede nulla di tutto il concerto. La gente vuole il bis. Grande soddisfazione. Durante il terzo tempo come previsto gli eventi si susseguono con il ritmo e la precisione della tragedia greca. Il tezo atto del dramma ungherese Palinka si chiama Masticando frutti inzuppati di acquavite. E così è. Liviusz, fanatico fino alla violazione dei diritti dell'umanità, sbandiera le doti di una bottiglia di Palinka e dei frutti contenuti in sospensione in essa. In poche mosse scoliamo la bottiglia e mastichiamo ignobili prugne ridotte a renelle dall'immondo sapore di vetriolo. Così è la vita. Idiliko ci promette un giro per Szeged domani, Lemmy dei Motorhead è irreperibile. Dormiamo sui divani. Robert e Liviusz dormono nel locale ma per terra a diretto contatto con il pavimento. E' la brutale accoglienza ungherese. In questa notte mai metteremo il naso fuori dal Club Noir. Szeged veglia sopra di noi con il suo ventre di torri e palazzi e noi nelle sue viscere c'addormentiamo senza nemmeno avere il tempo di sognare.     

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Day 9: Fish Soup in Szeged

 Caro Pedro ci svegliamo al Club Noir come agnelli che si rizzano nella stalla sui miseri giacigli che il buon Robert ci ha offerto, dopo averci foraggiato con musica grind e alcolici d'ogni tipo. E' un po' più tardi del solito. Il sole arriva a stento nel cuore del locale infossato. Verso le 11 e mezza siamo tutti pronti per il giro turistico di Szeged. La nostra guida, Ildiko, da adesso in avanti Raperonzolo per comodità, arriva in bici . La sua caratteristica è il suo ampio volto magiaro sereno ed ineluttabile. Scopriamo subito che è una che ci fa camminare parecchio. Sinagoghe. Chiese. Statue di ogni genere. La grande Ungheria che cresce e cambia, muta pelle e sventra strade sotto i nostri occhi. Tutti lavarono. Ampie strade dello shopping. Il fiume Zizza quasi in secca. Ristorante di pesce dove facciamo una penosa colletta per poter andarcene senza lavare i piatti. Liviusz ci aspetta per una birra della staffa in un piccolo pub dal clima equatoriale. L'addio tra noi e lui è straziante. Tutto cambia in un attimo: dopo un'ora entriamo in Romania al calare delle tenebre. Alla periferia di Timisoara ci aspetta Alex dei Methadone per offrirci l'ospitalità rumena: un piccolo monolocale con cesso incorporato e cinque posti letto di cui tre su materassino gonfiabile. La nostra casa per le prossime due notti. Ci addormentiamo documentandoci accuratamente sulla vita e l'esperienza di Matteo Montesi tramite un'accorta ricerca videografica su Youtube. Domani è un altro giorno.  

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Day 10: @Atelier DIY Timisoara

 Caro Pedro ci svegliamo freschi come una torta gelato sui nostri materassini gonfiabili a Timisoara. Fuori dalla porta c'è ancora lei, la Romania. Abbiamo la mattinata libera. Ci sveglia il buon caffè e thè al mate preparato dalla ragazza di Alex ed entriamo in modalità turistica. Timisoara è una città ricca, una delle più gloriose dell'intera Romania ma, tutt'intorno ad un centro europeizzante ed un po' decadente, si sviluppa una povertà che non passa inosservata. La città puzza di impero austroungarico. I sontuosi palazzi del centro storico sono di un barocco formidabile ma allo stesso tempo sono tenuti come se fossero le più infime abitazioni popolari. I veri padroni della città sono un clan di piccioni grassi come polli. Si muovono in stormi pronti a cagarti in testa al minimo sgarro. Siamo circondati dai teatri. Ce ne sono a decine. La nostra guida Flavius dei Methadone Skies lavora a teatro da molto tempo. E' un attore amante di Ionesco e Shakespeare. La città si presenta culturalmente avanzata data anche la presenza di un McDonald's. Entriamo in una chiesa ortodossa. Non ci sono banchetti o inginocchiatoi, lo spazio della navata è occupato dai fedeli che lo usano come se fossero in piazza. Sotto un cielo d'oro massiccio donne in abito nero si mettono in fila per ricevere il pane ed il vino dal sacerdote e tutt'intorno una giostra di vitalità che in occidente difficilmente vedremo mai in un tempio di culto. Il verde è un po' ovunque in città. Passiamo davanti ad una bella casa quasi del tutto demolita. Flavius ci dice che era la case del giardiniere della regina d'Inghilterra. Gli zingari volevano farci un albergo o qualcosa del genere ma trovando la resistenza della città l'hanno ridotta così per sottrarla al godimento comune. “Fucking bullshit” dice Flavius. Assieme a lui e Mihai, il bassista dei Methadone, raggiungiamo un bel localino con indole teatrale un po' defilato dal centro per berci una birra nel suo bel giardino. Il locale si fregia di un arredo che comprende: collezione di vinili, libreria di vecchie edizioni, bancone coperto di monetine, ombrelli sul soffitto, cesso con vasca da bagno sovrastato da enorme pupazzo di Frankenstein e birre voluttuose. Ognuno ha il suo spazio e la serenità regna sovrana. Cosa ci vorrà mai per farne un duplicato in Italia? Si fa presto sera e si avvicina il tempo del concerto. Oggi come scenario avremo una stanzetta al primo piano di una fabbrica abbandonata tenuta pulita come una scuola elementare. Il localino è grosso appena qualche metro quadro in più del salotto di casa del sottoscritto (Taddei). C'è un bancone, un frigo che gorgoglia come se l'avessero sgozzato e un giradischi che suona vinili: in particolare quello degli XLU, band post-core low-fi francese che attrae non poco l'attenzione del sottoscritto (Michele). Il fondo è occupato da testate ed amplificatori. In quell'alcova le Scimmie si esibiranno dopo i Methadone Skies. Il proprietario ci offre una pasta vegetariana a base di spugna. L'ambiente è accogliente e si sente l'affilato sapore del club clandestino, ma non c'è molta gente. I Methadone iniziano intorno alle 22. Il solito spettacolo strumentale sembra reggere e il pubblico apprezza. Giocano in casa e figurano anche tra le svariate fotografie attaccate ai lati della stanza. Una in particolare piace parecchio a Xunah: raffigura un emulo di GG Allin che si esibisce totalmente nudo e urla nel microfono. Sono le 23 passate da un pezzo quando i Primati si fanno largo tra il nulla e il tutto di una stanza che non si riesce a capire se è mezza piena o mezza vuota. Attaccano come sempre con L'Oblio Mistico, poi Dromomania ecc...ecc.. Il pubblico assapora e deglutisce. Un tipo dello staff, codino e maglietta di Cor Cordium degli Ovo, appare davvero soddisfatto e, a braccia conserte, sembra assorbire tutta la violenza dello spettacolo con un'espressione del tipo: “Fatti sotto! Questo è pane per i miei denti!” Habanero, messa, in modo funzionale, in fondo alla scaletta, seppellisce la stanzetta sotto un tetto di granitico stoner misto a doom, noise e altra robaccia. La fabbrica trema ma non crolla. Smontiamo e carichiamo tutto con la tipica fretta dell'Est. Ci facciamo un giretto in città a bere birre guidati dal fedele Flavius e la sua filiforme ragazza. La notte è mite a Timisoara ma di gente ce n'è poca in giro. Dopo l'ugola dobbiamo rinfrancare lo stomaco e ci facciamo un sandwich e poi vergognosamente, spronati da Xunah, cediamo alla sirena del McDonald's. La costellazione di Flavius tramonta all'orizzonte. Noi seguiamo il Gps fino a casa. Timisoara smunge via nella grande mammella della periferia. Prima di dormire ci documentiamo su come sopravvivere nel deserto cibandosi di una carcassa di cammello. Basta così per oggi. Ci diamo una martellata in testa e passiamo la mano.

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Day 11: @Klub Fest Belgrado

 Caro Pedro, doveva succedere ed alla fine è successo: il Dromotour è giunto al termine. Almeno per quanto riguarda i concerti, a noi manca ancora il ritorno, il nostos, che si sa è sempre più complicato e sorprendete dell'andata. Ultima città che i nostri calcagni calcheranno è Belgrado. Abbiamo tutti il magone, tranne Xunah of course. Fatto sta che ci alziamo con calma e aspettiamo Flavius per l'appuntamento a pranzo. Mangiamo in un ristorante steak house dove ci portano costolette di brontosauro contornate da patate, cipolla e pancetta ed altre invenzioni gastronomiche del popolo rumeno. Sono le 15 ed è l'ora dei saluti. Flavius e la sua metà dal retrogusto franco-hipster che avrà detto 5 o 6 parole in due giorni compresi gli hello, sono già lontani mentre sfrecciamo verso la dogana serba. Arrivati al confine troviamo uno squarcio d'Italia frenetica e che vuole fottere il prossimo: macchine messe in coda a casaccio che cercano di raggiungere la corsia dei doganieri. Basta aspettare per divertirsi: un tir s'incorna una macchina incastrandosi sul lato sinistro. Dalla macchina fuoriesce un grattacielo con i baffi, è probabile che si tratti dell'anello di congiunzione tra un buttafuori e un mammuth. Il tipo non è affatto contento e va personalmente a prendere lo smilzo autista del camion che guidava a piedi snudati come un pilota di risciò. Intanto noi ci chiediamo se l'incidente sia avvenuto in Romania in Serbia o in una sorta di Twilight Zone diplomatica. In breve ci consegnano Belgardo in un pacco con il fiocco color cemento urlante. Per entrare in città attraversiamo un ponte scalcinato. La città è fumogena. Palazzi enormi riempiono totalmente il frame della macchina fotografica. Molta vita. Ricorda Istanbul, ma anche Casalbordino. La città sfuma in lontananza con alti recinti di quartieri popolari. Noi come al solito aggrappati al GPS. Sui muri appaiono simboli sinistri di una destra d'azione. Nazionalismo a grappoli. Graffiti in cirillico un po' su ogni muro. Goffa con i suoi strani palazzi moderni, Belgrado pare una grossa balena spiaggiata pronta al saccheggio dei granchi.
Ci mettiamo un po' a trovare il Klubfest. E' nel parco ma non sappiamo dove. Poi lo troviamo. Naturalmente non era nel parco. Nino ci stringe la mano. E' il padrone e siamo nella sua casa. La sua ospitalità è cosmica e stringente allo stesso tempo come tutte le ospitalità luculliane. Ci offre da mangiare. Ci assegna tre drink gratis a testa per la serata. Monta la batteria. Allinea per bene le luci come vogliamo noi. Si sbatte come un pazzo, suda come un mozzo. Il locale è di alcuni suoi amici. E' aperto da vent'anni e avrà visto di tutto. Lui lo gestisce da circa quattro anni. Non ci fa dormire a casa sua perchè gli hanno tagliato l'acqua o la luce non lo capiamo di preciso. Arrivano gli altri gruppi della serata. Milos dei Fluid Underground, il procacciatore della serata, porta in dono alle Scimmie una bottiglia di Raki, la bevanda degli sbronzoni, dalle dimensioni ciclopiche. L'assaggiamo: cazzotto allo stomaco con retrogusto di prugna. Milos è sposato con figlio ma probabilmente ha poco più di vent'anni. La serata si apre con i Klot, sorta di A Perfect Circle rancidi con alla voce un Capovilla disadattato con tanto di penna da ragioniere nel taschino. Spettacolino interessante con un doppio pedale usato praticamente a caso. Dopo circa un'oretta di show cambio di palco e salgono i Fluid Underground del nostro caro Milos. Sono in tre e suonano massicci come non te li aspetteresti. Il cantato serbo al solito solletica il nostro interesse gracchiando contro le nostre orecchie. La serata va per le lunghe ed è già mezzanotte inoltrata quando Le Scimmie salgono sul palco. Il Klub Fest rivelerà la migliore acustica di tutto il tour, con le note di Xunah che finalmente giungono ben delineate al pubblico. Gli astanti appaiono attenti, seppur lontani dalla prima linea e puntualmente aspettano la fine di ogni brano per applaudire ed urlare. Un pubblico al quale piace la musica e non solo la birra disposta sui tavolini in rapporto 3 a 1. Il sottoscritto (Michele) chiede velleitariamente un Ramazzotti e poi un Disaronno ma mi rendo conto che vado cercando la  Kryptonite a Spiderman. Allora vada per un vodka lemon ma non sanno neanche cosa sia mentre mi mostrano la bottiglia di vodka liscia. Intanto Le Scimmie pestano e sudano. Dopo la chiusa con Habanero i serbi ne vogliono di più e incitano il bis. E allora si riparte con Dromomania. E' l'una e mezza di notte e il locale si svuota velocemente. Un attempato signore si piglia il cd degli Zippo assiemie a quello de Le Scimmie. Due tipe dark e ciccione si avvicinano al banchetto. Una di loro acquista con la moneta autoctona cd e maglietta e dopo ci regala circa 4 euro in spicci. L'altra ci mostra una banconota da 50 euro. Vuole il cd. Non abbiamo il resto. Gli proponiamo di comprare 10 cd de Le Scimmie ma lei non accetta. Donna di poca fede. Alla fine glielo regaliamo. Scambiamo due chiacchiere con Nino. Dice che ha suonato lì in più di 26 band e che registra i live di ogni serata per questo motivo presta molta attenzione all'acustica e alla cura dei suoni. Il live de Le Scimmie è pronto per il mercato dei bootleg della Serbia. Poi parla del pubblico del suo locale, lì per ascoltare buona musica e non per sbronzarsi oltre ogni limite. In 20 anni di apertura infatti si annoverano solo due risse al Klub Fest. Con un solo cicchetto di Raki Xunah diventa socievole. Addirittura fa delle foto ricordo con Milos e gli altri. Prepariamo il locale per la dormita sui divanetti. Dove prima c'erano le nostre chiappe ora ci sono le nostre teste. Nino ed un suo amico, Marco, sedicente regista e fan sfegatato degli horror made in italy, si rifugiano in uno stanzino a fumare erba. Noi spremuti fino all'osso ci addormentiamo senza nemmeno proferire un “Buonanotte”. Domani niente concerto. Si è chiuso un ciclo.

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Day 12: Road To Ruin

  Caro Pedro presto ci rivedremo. Abbiamo un po' paura che tu sia cambiato anche se in realtà siamo quasi certi che tu sia rimasto al bar a sorbirti il tuo campari ogni giorno di questa dozzina di serate che non ci siamo visti. Intanto prima dei saluti reciproci e della proiezione delle diapositive del viaggio, siamo ancora qui a riscaldare i sedili del nostro fedelissimo Iveco. La sveglia questa mattina è suonata militaresca alle sette ma noi ce ne siamo sbattuti e siamo rimasti a rigirarci sui divanetti fin quasi alle otto. A quel punto non si poteva indugiare. Lavarsi in un cesso che puzza di piscio non è lavarsi. Un saluto al volo a Nino e alle sue buone maniere da nazionalista serbo e poi via. Episodi dimenticati di ieri sera: Milos era così felice di aver conosciuto Xunah di persona che ad un certo punto del pasteggio post concerto si sfila la fibbia piratesca in metallo pesante della sua cintura e gliela cede come oggetto di devozione. Altre recupero della serata scorsa: complici birre e cicchetti di malefico Raki (anche Milos ne era spaventato) la fame era salita chimicamente alle stelle. Abbiamo afferrato gli avanzi della cena di benvenuto senza soddisfare però il nostro curioso appetito e allora buttiamo al centrocampo la proposta di mandare Nino a saccheggiare un fast food. La cosa abbatte le sue velleità ospitali ma è un'occasione per farci assaggiare gli strani hamburger che fanno in Serbia. Il nome impronunciabile non ha traduzione in italiano e definisce delle specie di astronavi discoidali con dentro qualsivoglia diavoleria alimentare a guarnire una bistecca d macinato di pollo e manzo. Dio mio che delizia, Pesante come un panettone di cemento armato ma che delizia!
Ok, recupero terminato. Torniamo a noi. Partenza sadica alle otto e svariati milioni di chilometri da macinare. Sconfiniamo in Croazia in breve tempo. Seguiamo la rotta per Zagabria, Ma prima di arrivarci siamo di nuovo all'ora di pranzo. Da giorni Davide ha progettato una sosta strategica presso Sinisa, sua vecchia conoscenza. Avvertiamo Sinisa un'ora prima che siamo in dirittura d'arrivo da lui. Ci risponde con un sms dicendoci che allora deve mettersi a cucinare! Wow. Sinisa vive a Fericanci, un minuscolo abitato al centro del nulla, il tipico far west slavo. Ha una casetta di villeggiatura dove va sempre meno per via del lavoro che è parca ma magnificamente accogliente. Entriamo e c'è già odore di pronto in tavola, Pasta Barilla e un sugo di macinato pieno di olio come piace a noi fan del lordo. Sugo a parte, ognuno decide quanto usarne. Prosciughiamo la pentola con scarpette croate. La casa è piccola ma ha un mega schermo ed un sistema audio da studio di registrazione. A quanto pare è una priorità per un giovane slavo godere appieno della potenzialità della tecnologia moderna. C'è un cane, Xunah che sotto sotto è un tenerone gli si affeziona. Mario è attratto da una sfilza di santi che orna la porta del salotto/cucina. Sinisa suona in una band locale. Surfiamo su youtube a suon di musica. Ci caliamo anche il video di Dromomania e de l'Oblio Mistico. Alle quattro molliamo gli ormeggi: noi siamo appena all'inizio della grande Croazia. Per il sottoscritto (Taddei) essa si tramuta rapidamente in una sfumatura violacea che scorre sotto le mie palpebre chiuse. Mi sveglio alla prima brusca frenata. Sbirri ci fermano per la velocità. Solita cazzata: nei centri abitati la velocità è di cinquanta all'ora e noi blah blah blah. Non siamo più in Ucraina e dobbiamo pagare la multa. Naturalmente non abbiamo la moneta locale. Gli sbirri sono due: uno ha la faccia spenta da fissato di Youporn, l'altro è vecchio abbastanza per aver strangolato a mani nude alcune decine di serbi durante la guerra civile. Abbandonano il loro presidio lasciando il centro abitato in mano a bande di motociclisti armati di motosega e ci scortano fino al più vicino ufficio di cambia valuta. Ci scuciono 70 euro, li mortacci loro. Di nuovo sulle strade della Croazia. Boschi dagli alti alberi si stagliano imperiosi. Una fila sterminata di camion ci segnala l'avvicinamento al confine. Infiliamo le casette della dogana con la grazia di uno schermidore accorto e siamo in Slovenia. Oramai la tenebra domina. Questo viaggiare nel buio mi stimola pallosissime riflessioni: l'Europa unita esiste in una forma che i governi europei non riescono ancora a contemplare appieno e che quindi difficilmente riescono a sovvenzionare. La trovi nei festival, nei concerti, nei locali, negli scantinati, nei promoter che ti chiamano dall'altra parte dell'Europa e ti invitano a casa loro a suonare, nell'ospitalità fuori dalla norma, nell'offrirti una birra perchè sì è vero oggi hai spaccato il culo. Come si spiega altrimenti la nostra sopravvivenza a questi undici giorni in giro per sette nazioni differenti sul groppone di un tour che continuava a scalciare come un asino impazzito? Ci sono pezzi di Ucraina in Italia, pezzi di Italia in Romania, pezzi di Romania in Serbia, pezzi di Serbia in Ungheria, pezzi di Ungheria in Polonia, tutto è un panorama che continua a mutare ma che ha un fondo omogeneo a cui aggrapparsi. Anche un cartello in cirillico può esserci familiare e rappresentare l'approdo dopo un lungo viaggio. Tutto questo grazie ad una lingua che è senza ambiguità e che tutti possono comprendere senza nemmeno studiarla, una lingua universale come i numeri, questa lingua prodigiosa è quella della musica, che permette a persone che non si sono mai viste e che forse mai si rivedranno di salutarsi come vecchi amici che partono per una lunga vacanza ma che ritorneranno prima o poi, che permette di servire un piatto di spaghetti cotti al dente a puntino al centro della Croazia. Posso aggiungere poco o niente a questa specie di lezione. La Slovenia è ancora fuori dal finestrino. I piani per la nottata sono: arrivo in Italia attraverso Trieste e sosta per dormire nel parcheggio di un autogrill “sicuro”.

2 commenti:

Wedding_Panic ha detto...

Eccolo dov'è andato a finire Pedro! a Santafè

http://www.youtube.com/watch?v=s7tQz-e93VI

VOGLIAMO ALTRI POST!

J

Wedding_Panic ha detto...

Ragazzi,
solo IKEA è peggio di Chernigov!
ROCK_ON!

J

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