martedì 5 aprile 2011

Live Report di Lydia Lunch feat. Gallon Drunk - Big Sexy Noise al Mono Spazio Bar (Pescara)

Giusto il tempo di caricarmi Mb Flash, Matt Bianco e Franz degli Affluente e sono già in autostrada, rapida sosta alla stazione centrale per prelevare Simone ancora ebbro dei goals di Pato nel derby e arrivo al Mono in perfetto orario. Stasera l'appuntamento è di quelli che contano e si capisce subito dal pubblico non eccessivo ma ben selezionato, chi conta c'è nonostante sia Lunedì. Bypasso volentieri la band di supporto ed entro al momento giusto. Miss Lydia Lunch è davanti a me ed indossa con scioltezza l'abito tossico della sacerdotessa punk, post-punk, wave, no-wave, noise , post-noise, blues, post-blues. Tutto ed il contrario di tutto frullati dall'esperienza e dal carisma di una figura che si porta appresso, non senza qualche evidente cicatrice, 30 e passa anni di musica trasversale e senza compromessi. Stasera ci presenta Big Sexy Noise la sua ultima creatura, accompagnata da tre assi del poker servito dalle mani dei britannici Gallon Drunk, band sottovalutatissima che faceva furore negli anni novanta. James Johnstone alla chitarra la sà lunga, camicia da countrysinger e rifferama al calore bianco usato con maestria, Terry Edwards disegna trame spastiche di organo e quando si appende il sax al collo diventa un El-Lissitskij delle sette note riuscendo ad assemblare un traliccio free-form a metà tra James Chance and the Contortions (compagno di avventura di Lydia nei Teenage Jesus and The Jerks) e l'Ornette Coleman più fuso, Ian White seduto dietro le pelli non sbaglia un colpo con le ritmiche sincopate che pompano come il sangue nella sua giugulare gonfia.
E poi c'è Lydia lì al centro, vera, dura mistress dell'antiautoritarismo, avvinghiata al microfono e pronta a rompere il culo di migliaia wannabe riot-grrrls, ricorda la zia con le palle quadrate, scapola e un pò fuori di testa di tutti noi, quella che fuma le galouises rosse e cambia i fidanzati come fossero mutande. Guarda i presenti dritto negli occhi e ammicca con il fare della consumata performer di teatro concettuale, tra un pezzo ed un altro non risparmia strali nichilisti dando vita spesso ad una sorta di sagra dell'anarco-situazionismo. La musica dei quattro cala sul pubblico delirante del Mono come un panneggio di velluto sporco di Qualuude e Lexotan, la prima parte del set è siuramente più dura con rallentamenti cadenzati capaci di mettere d'accordo i Sonic Youth con i Sabbath di Vol.4. E poi ancora tanto noise, tanto proto-post-rock e tanta cattiveria con la psicopatia di No New York! sempre nell'aria e i Velvet Underground nel cuore. La chitarra carica di dinamica sà trasformasi da monolitica in eterea con improvvise deflagrazioni shoegaze e a volte i brani sanno combinare sensazioni deliziosamente roots con i beats stradaioli della NYC a cavallo tra gli ottanta e i novanta. Musica de-evoluta, de-costrutta, de-vastante. La sacerdotessa concede ma non si concede e a un certo punto decide che la messa può finire. Ah il concerto era totalmente gratutito, se non sei venuto ora mangiati le mani.

2 commenti:

Michele Montagano ha detto...

Yeaaaaahhhhhhhhhhhhhhh

rocknroll ha detto...

Me le sto mangiando infatti,specialmente dopo la recensione...
Lorena

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