giovedì 4 agosto 2016

Il Canto del(le) Siren(e) - Siren Fest @ Vasto 21-24 Luglio 2016

La scommessa era stata vinta 2 anni orsono, con la prima edizione, ma anche lo scorso anno e, molto probabilmente maggiormente quest’anno, con un afflusso di pubblico ancor più “vasto” da ogni parte di Italia e dall’estero.
In questa 3° edizione del Siren Fest, Louis Avrami ha vinto ancora una volta per aver portato un evento di importanza mondiale in un piccolo gioiellino del medio Adriatico.
DNA perché, come gli anni passati, per il 3° anno è riuscita ad allestire una line-up ottima, divisa (quasi equamente) tra artisti italiani e stranieri e con una organizzazione con minime sbavature.
Ha vinto nuovamente il pubblico, educato, coinvolto  e, soprattutto, giovane e sorridente.
Ha vinto Vasto, la sua bellezza indiscutibile e le sue location che non hanno eguali, magari con la luna che fa capolino dietro il main stage ed illumina il golfo.
Impossibile seguire tutto (e questo forse è il limite ed il “peccato” dei festival in generale); bisogna fare delle scelte, a volte impietose.
Gli eventi si accavallano ed inevitabilmente qualcosa viene perso, ma ognuno si può ritenere soddisfatto per quel che è riuscito a vedere.
I palchi erano 4, di cui 1, Porta San Pietro, aperto anche a chi non aveva il biglietto.
Partiamo proprio da questo.
PORTA SAN PIETRO: si sono avvicendati, tra gli altri His Clancyness, Parrots, Motta, Pop X ma chi ha convinto, coinvolto, stravolto è stato senz’altro Cosmo.
A leggere i post su facebook ed altri social nei giorni precedenti il festival, era il più atteso di questo appuntamento.
E lui non ha deluso le aspettative con uno show trascinante, una specie di rito collettivo, terminato con “invasione” di palco da parte di tutto il pubblico ipnotizzato dalla forza della sua musica.


GIARDINI D’AVALOS: il palco più suggestivo, allestito tra le rovine della antica Histonium che ha visto la presentazione di fumetti e libri ma anche le performance di Tess Parks e, soprattutto, di Joan Thiele, giovane cantautrice italo-americana che, accompagnata dagli Etna, ha incantato la platea in gran parte seduta sull’erba dei giardini, con le sue storie semplici.


CORTILE D’AVALOS: ha ospitato l’apertura giovedi 21, con la presentazione del film diretto da Adam Green, Aladdin, trasposizione surreale e grottesca dell’omonima fiaba, seguita dal set acustico dell’ex Sonic Youth Lee Ranaldo.
Nei giorni seguenti, ancora l’altro ex “giovane sonico”, Thurston Moore con il suo nuovo gruppo, e poi l’elettronica di Powell e Nosaj Thing, il djset di M. Passarani.
Ma il vincitore è stato senza dubbio Adam Green con la sua performance dall’aria di festa ed il suo rock obliquo e bislacco, come il suo film, appunto.



PIAZZA DEL POPOLO: Cani e Calcutta a difendere la patria e  poi A R Kane e   RY X.
I più attesi erano, però Editors e Notwist.
Possente, senza sbavature e soste, se si eccettua la versione di Dancing In The Dark eseguita da solo al piano da Tom Smith, la performance degli inglesi che hanno proposto molti brani, come ovvio, dagli ultimi 2 album senza, però, disdegnare qualche salto nei primi 2, ed inarrivabili, album.


Ma i vincitori sono stati senz’altro i Notwist.
L’eccitazione era grande: NEON GOLDEN dall’inizio alla fine.
Beh, son riusciti a sorprendere ancor di più, destrutturando le vari canzoni e riplasmandole, allungandole, stravolgendole…senza parole.


Ma c’è stato un ultimo vincitore per bravura, simpatia, disponibilità ed umiltà, che senz’altro ha lasciato il segno nell’edizione 2016
Josh T Pearson, a cui è stata affidata la chiusura di domenica a pranzo, nell’atmosfera mistica della stracolma cattedrale di San Giuseppe, ha ipnotizzato il pubblico accorso con il suo fingerpicking, la sua voce inconfondibile e con le sue battute al limite del riferibile.
E che sorpresa ritrovarselo la sera in un piccolo club fondato da giovanissimi vastesi, complimentarsi con il cantautore che si stava esibendo (Jester At Work) ed al termine eseguire una (molto) alcolica versione di “Will the Circle Be Unbroken”.


Il Siren è stato anche questo.
Musica, gioia, condivisione e spensieratezza, gli stessi elementi che hanno caratterizzato l’ulteriore location dedicata ai dj set, situata in riva al mare.
Come direbbe Pizzul “tutto molto bello”.


martedì 17 maggio 2016

Bologna Kicking Ass! (In A Very Sad Way, Of Course...) - Sophia Live @ Il Covo Bologna 6 Maggio 2016

7 anni dopo il suo ultimo concerto full band (con archi) e 6 dal tour acustico in solitario ritorna Robin-Sophia.
Un ritorno preceduto dal nuovo disco  As We Make Our Way (Unknown Harbours) e prima ancora dal singolo It's Easy To Be Lonely
Tour breve, quasi un rodaggio visto anche che, a parte il fido Jeff Townsin alla batteria, gli altri musicisti sono tutti nuovi e giovanissimi.
Propedeutico per un (ben più sostanzioso, ci si augura) tour autunnale, stagione che maggiormente e meglio si adatta al mood dell’opera e della personalità di Robin, mood al quale sembra si siano adattati alla perfezione i novelli Sophia, almeno musicalmente.
L’occasione è di quelle “importanti” ed il Covo è stracolmo ed esplode all’ingresso (dalle retrovie) del gruppo che sale sul palco sulle note di Unknown Harbours ed è subito ultimo disco con Resisting.


Da questa in poi, i primi 9 brani sono tutti quelli dell’ultimo lavoro, nello stesso identico ordine del disco.
Anche per questa scelta, ci si rende ancor più conto del sapore di prova generale.
Dal vivo il gioco funziona perfettamente, con quell’equilibrio tra brani prettamente rock e ballate a la…Sophia, e le esecuzioni live, dopo le perplessità dei 2 lavori precedenti, convincono ancor di più di essere davanti ad un signor disco che, se non si può paragonare alle prime 3 opere, ci riporta un Robin in gran forma.
Insomma la continuità del discorso interrotto e ripreso nella medesima maniera.
E non potrebbe essere diversamente.
Terminato il nuovo, si torna al passato con una stupenda (e forse inaspettata) Bad Man seguita da 2 lance conficcate nei deboli cuoricini dei suoi fan, che fanno diventare lucidi gli occhi mentre le cantano in coro con lui.
So Slow, cantata dalla prima all’ultima strofa, in coro dall’intero audience, tanto che alla fine Robin chiede di essere nuovamente presenti nel caso decidesse di registrarne una nuova versione live e poi rincara la dose con un “Bologna, kicking ass… in a very sad way, of course”…
E poi If Only ancora in coro anche se più sommessamente.
C’è ancora il tempo per Oh My Love, la più debole del mazzo, seguita dal trittico Desert song nr 2, Darkness e The River Song che toglie il fiato e mette alla prova i timpani e le coronarie di tutti i presenti nel minuscolo locale.
Arrivano, così, i 2 bis con una inattesa Birds ed una più prevedibile I Left You.
1 ora e ¾ di concerto praticamente senza soste, intenso, energico, emozionante.

Welcome back Robin, ci rivedremo quando le foglie saranno ingiallite, proprio come quelle sulla copertina di People are like Seasons

martedì 28 luglio 2015

Lars Rock Fest (Chiusi) Live Report

Impossessarsi dei suoni altrui fermati nel tempo sulla preziosa plastica nera di un disco o trascrivere, come un dattilografo delle emozioni, la musica in parole non ha nulla a che fare con l’essere artisti; dotati di una gentilezza insolita, i ragazzi del Lars Rock Fest non sono d’accordo e mi accolgono a Chiusi con un inadeguato pass ARTIST, nella loro generosità quasi naif, bruciati dal sole che li ha accompagnati nelle lunghe ore di preparativi. 


Dal tramonto velato dalla malinconica tonalità seppiata di una copertina Seventies fino alla notte ancora caldissima, mi è concesso ascoltare i concerti accoccolata in un angolo tra i case del service e il mixer, scoprendo che le assi del palco, tremanti sotto i colpi inferti alla batteria e sotto le frequenze più basse, sono una postazione privilegiata che io difendo con timido riserbo.
Per me, resta l’esemplare coerenza della line-up, che si snoda nella serata del venerdì tra il techno-pop lievissimo e siderale dei Crayon Made Army e i beat ematici dei Drink to Me, preludio al trionfo del camp sonoro degli Unknown Mortal Orchestra: amoreggiando su ritmiche disinibite, in cui il basso opulento ma definito si unisce in amplesso ideale con la batteria essenziale, Ruban Nielson lancia verso il pubblico la sua voce iridescente carica di effluvi sentimentali; tuttavia, c’è troppa leggerezza d’animo nei dancefloor scintillanti evocati dai lievi tocchi di tastiere per soddisfare la mia inguaribile tristezza.


Questa è la provincia ma, almeno per due sere in un anno, possiamo vivere la fiaba che ci conduce oltre i confini della nostra marginalità geografica e musicale: sebbene non faremo mai a meno dei venditori ambulanti con le loro enormi arancine e delle famigliole in libera uscita, anche così lontani dai grandi palchi mondiali abbiamo la nostra dignità di indefessi maniaci musicali.




Solo la serata di sabato placherà l’atavico e primordiale bisogno di torturarsi con l’angoscia tradotta in musica, in un masochistico rito catartico officiato da Squadra OmegaGo!Zilla Soft Moon.
La conventicola esoterica dei primi tre disorienta con suite destrutturate, perforando lo spessore asfissiante dell’atmosfera con fendenti di sax, mentre il compito di diffondere sudore in dosi copiose è affidato ai Go!Zilla: power-trio alimentato ad adrenalina e ferocia garage, corrono instancabili su sfrenate andature psychobilly macinando kilometri sonori come istanti.

All’improvviso la notte domina sulla placida provincia e prepara l’arrivo della luna morbida: non affiderei la gestione della mia tristezza a Luis Vasquez ascoltando i suoi dischi o dopo averlo visto aggirarsi nel backstage in jeans e stivaletti impeccabili fin troppo distratto, ma la cruda disperazione della performance dei Soft Moon mi costringe a ricredermi. Le sue grida da uccello ferito in riverbero escono dal microfono propagandosi come segnali d’allarme, il pubblico di devoti assiste attonito ed entusiasta mentre il mio corpo secerne naturalmente la serenità che solo la musica nutrita dall’oscurità sa darmi.



© Foto di Valeria Pierini

lunedì 3 novembre 2014

Damien Rice Live @ Milano 23 Ottobre 2014


L’avevamo lasciato dopo gli aftershow dei concerti italiani e lo ritroviamo 2 anni dopo  ancora gioviale, pronto alla battuta mentre scherza con il suo pubblico ed ancora da solo con la sua chitarra.
Una novità, però, c’è: è in arrivo un album a distanza di ben 8 anni dal precedente “9”.
E dopo averlo annunciato, Damien ha intrapreso una breve attività di tour in solitario che ha toccato dapprima gli USA ed il Canada, e poi l’Europa iniziando proprio dal nostro paese.
A distanza di 2 anni dal precedente tour che aveva toccato 4 città, Grado, Ferrara, Firenze e Roma, eccolo al Linear4Ciak di Milano.
Concerto sold out in pochi giorni di prevendita con l’attesa spasmodica dei suoi fans giunti da tutta la penisola e non solo.
C’era attesa per poter ascoltare le nuove composizioni, anche se, a dir la verità, alcune erano già state presentate nei precedenti tour.
Ed è proprio con una di queste che apre il concerto.
Damien si avvicina al microfono ed attacca la prima strofa della stupenda The Greatest Bastard, lasciando già senza parole.
Ed lui si adatta all’atmosfera perchè, senza proferir parola, continua con la sua chitarra proponendo Delicate, Woman Like A Man ed Elephant, prima di una intensa Nine Crimes, con i suoi “NO” urlati nel microfono, che si rivelerà essere l’unica suonata la piano.
Un Damien rilassato e gioviale, come quello lasciato 2 anni fa, come si diceva che, ritornato alla sua chitarra prima di intonare The Professor et la Fille Danse  inizia ad intrattenere il pubblico raccontando del suo scrivere canzoni (la maggior parte sono bugie), di attrazione fisica e spermatozoi.
E a testimonianza ulteriore di aver rotto il ghiaccio e per render partecipi quanti sono lì solo per lui, divide in tre parti il pubblico per farsi accompagnare nella successiva Volcano.
Le luci si spengono e Damien dice di voler fare qualcosa di opposto: dalla coralità della precedente esecuzione al silenzio, quasi mistico, di una sempre bella Cannonball, prima della quale chiede di spegnere anche spie e amplificazione per una versione unplugged suggestiva ed intensa  cantata quasi in bilico al bordo del palco.
Seguono Older Chest  e la nuova I Don’t Want To Change You  che guadagna spessore e interesse rispetto alla versione già nota in studio e che aveva lasciato non poche perplessità tra i fans.
Nella parte finale il crescendo termina con un” We Will Rock You” urlato tra la sorpresa e l’ilarità del pubblico che apprezza e lo dimostra con un lungo applauso.


Dal palco parte la richiesta se vi sia una ragazza che… ma non termina la richiesta che una voce si leva dicendo che la madre conosce Cold Water e vuole cantarla con lui.
Dicono di esser arrivati lì dalla Spagna e così Damien invita madre e figlio sul palco e dopo aver fatto spegnere le luci, parte un duetto pieno di pathos e che, a dir la verità, più che una carrambata sembra una cosa preconfezionata per quanto (quasi) perfetta.
La prima parte non può chiudersi in maniera migliore con la classica I Remember.


Ma sono i bis che rendono il concerto memorabile e che giustificano il prezzo del biglietto ed i sacrifici dei fans arrivati da più lontano.
Si parte con Colour Me In, brano nella miglior tradizione Riceana, anch’esso nel nuovo album, che lascia senza parole e con gli occhi inumiditi.


Dopo la simpatica parentesi di My Favourite Faded Fantasy (cantata in parte non in falsetto come nella versione ufficiale) che Damien deve, evidentemente, ancora imparare visto che a metà dimentica il testo, 


la dolcezza ed i brividi e le lacrime continuano con l’inedita Trusty And True, cantata con l’ausilio del coro Barbarossa di Lodi ed introdotta da un lungo prologo sulle varie personalità che albergano in ognuno di noi.
Cosa dire? Come definire questa lunga versione se non con una parola semplice ma al contempo unica per esprimere l’incanto: bella!
Gli applausi sono strameritati e sembrano non finir mai.
Damien lascia il proscenio al coro che si esibisce in una cover a cappella di All I Have To Do Is Dream degli Everly Brothers e torna per un’ultima canzone: e quale può essere se non quella che lo ha consacrato?
Il pubblico esplode alle prime note di The Blower’s Daughter in cui trova, come in altre occasioni, posto anche qualche verso di Creep.
L’esecuzione è corale, con partecipazione totale del pubblico che conosce ogni singola parola, ogni inflessione di questo brano.
Alla fine saluta il suo pubblico promettendo di tornare (prossimo tour? Prossimo anno?) e noi, puoi giurarci Damien, ci saremo ancora una volta e se sarai di nuovo da solo con la tua chitarra o full band e magari con una sezione di archi non importa più di tanto.
E non importa se riproporrai ancora ed ancora The Blower’s Daughter, per il tuo pubblico il "tuo" concerto sarà sempre l’evento più atteso.

giovedì 5 giugno 2014

Rock In Idro, alcool, musica e polvere per festeggiare il 2 giugno


Arrivo a Bologna per le due circa, dopo innumerevoli ritardi dovuti a dimenticanze varie: uno si è dimenticato il cellulare, uno i panini, un altro ha dimenticato di svegliarsi. Ma io non li condanno, perchè una volta mi trasformai in cane e loro mi aiutarono (e vediamo chi riconosce la citazione). All'interno dell'Arena Parco Nord stanno già risuonando le note dell'italian act del giorno, i What A Funk, ma dal parcheggio di fronte si sente forte e chiaro uguale...e contando che non posso teletrasportarmi dentro mi accontento. Tanto a me frega di più di chi suona subito dopo, i We Are Scientists.
Ma ecco che all'ingresso scopriamo che la tattica dei tappi nascosti in ogni dove per portare all'interno da bere non funziona più: a parte l'acqua la sicurezza non lascia entrare niente, e noi siamo privi di buone idee per aggirare il divieto. A parte una: bere tutto prima di entrare. Peccato che nel frattempo stiano iniziando i We Are Scientists, da fuori sembra suonino pure bene e fanno tutte quelle che aspettavo (ovvero le più conosciute): “Nobody Moves, Nobody Get Hurt”, “The Great Escape”, “After Hours”, loro suonano ed io bevo e somatizzo, mentre partono discorsi sull'ubriachezza molesta ai concerti e si arriva alla conclusione che se sei stronzo e lanci sassi ai gruppi (come ai Blink 182 sempre qua anni fa) sei stronzo pure da sobrio. Che poi io avevo visto lanciarli pure ai Sottotono ad un Mtv Day, ma su questo forse è meglio soprassedere.
Entriamo finalmente, in tempo per i The Brian Jonestown Massacre. Peccato che abbia sentito poco di loro, e quel poco non mi ha detto un cazzo. Ne approfitto per cercare un gruppo di amici che ho scoperto poco prima essere presenti (trovati in tempo zero, incredibile), un'altra ragazza che ho non beccherò mai perchè, da quanto vedo da facebook, è vicina alle transenne tanto quanto io non riuscirò a fare in tutto il giorno, e un altro amico che scopro per caso essere lì...e manco lui lo becco. Amen, intanto il concerto continua e arrivano i The Fratellis.
Io “Chelsea Dagger” non la sopporto. Vorrei dire che mi ha rotto il cazzo dopo un po', ma mi ha veramente fatto cagare fin dall'inizio. In compenso per il resto devo dire che il concerto me lo godo, scopro che han fatto una marea di marchette con la pubblicità e me li ascolto piacevolmente. Il sole però picchia e io sono già scottato dal giorno prima, quindi approfitto della mia totale ignoranza su chi sia e cosa faccia Miles Kane per andare all'ombra a dormire. Un mio amico invece ne approfitta per mangiarsi una salamella, avremmo pure l'affettato ma il dileguarsi della compagnia ci ha privato del pane. Avrei anche la maionese, ma poi la perdo chissà dove.
Miles Kane finisce, iniziano i Manic Street Preachers con orgogliose bandiere del Galles sul palco ed io comincio (finalmente) a fare più attenzione alla musica. I loro anni ce li hanno sul groppone, ma sti gallesi fanno comunque un bello spettacolo, energico, condito da singoloni famosi che arrivano direttamente dal periodo in cui andavo ancora a scuola tipo “A Design For Life” e una “If You Tolerate This Your Children Will Be Next” piazzata ad arte in conclusione. Da paraculi, dice un mio amico, ma bisogna pur concedere al pubblico qualcosa che si aspetta. Bravi bravi, talmente bravi che compiono il miracolo di farci ritrovare anche con tutti gli altri. E col pane.
Chiacchieriamo in attesa dei Biffy Clyro, che A) non sapevo essere scozzesi B) non sapevo fossero in giro da una marea di tempo, come scopro curiosando su wikipedia. Prima che inizino scopro che un mio amico ha fermato dei tizi che volevano lanciare sassi a Miles Kane perchè non gli piaceva, forse lo avevano fatto anche la famosa volta dei Blink: noi invece, quando qualcosa ci interessa solo relativamente, ci sediamo sulla collina senza far male a nessuno. Love and peace! Love and peace!
A conti fatti mi spiace aver visto i Biffy Clyro così da lontano, perchè scopro che sono davvero bravi. Tanta energia, suoni belli grintosi, non conosco una nota ma apprezzo davvero. Però in collina si sta bene, quindi aspetto la fine del loro (pure lungo) concerto per alzarmi ed andare finalmente davanti. Perchè ora ci sono i Pixies.
Ok, manca Kim Deal che dal 2013 della band non ne ha voluto più sapere, ma sir Francis Black e gli altri son sempre loro. E poi la nuova bassista mi sembra una gran figa, me ne innamoro a prima vista e scopro prima di buttar giù queste righe che è Paz Lenchantin: c'avevo visto lungo. Di ciò che han fatto di nuovo conosco poco, un paio di ep che mi hanno lasciato un'impressione indecisa sulla faccia, ma tanto siam tutti lì davanti per le canzoni storiche...e non ce le fanno mancare: “Bone Machine”, “Debaser”, “Crackity Jones”, “Mr. Grieves”, “Wave Of Mutilation”, “Monkey Gone To Heaven”...e alla fine ovviamente “Where Is My Mind”. Tutti davanti a pogare per più di un'ora, un polverone della madonna che si alza e si deposita sui capelli ma chissenefrega, siamo tutti amici e ci abbracciamo vicendevolmente fino alla fine. E alla fine i componenti della band vengono pure tutti a fare l'inchino e a salutare, loro sì che ci sanno fare. Grande impatto, gran voci sia Frank che Paz, e gran colpo che mi sono preso un attimo fa, che sto aggiornando la scheda video e quando lo schermo si è oscurato ho temuto di aver scritto un'ora per un cazzo. Aspetta che salvo va.
Io volevo vedermi davanti anche i Queens Of The Stone Age, ma essersi conciati ammerda prima di entrare e aver sudato l'anima coi Pixies mi ha costretto ad un pit stop a bere da un lavandino (le bottigliette d'acqua a prezzi da giubileo ho preferito evitarle). Ahimè non riuscirò più a rientrare nella caciara, ma qualche pogata ci è scappata pure fuori. Intanto che aspetto l'inizio noto che tre quarti delle luci dell'impianto si attivano solo ora, tenute per l'atto finale a tinte rossonere: o Josh Homme è diventato milanista oppure sta ascoltando a manetta i Kraftwerk, delle due una.
Appena arrivati sul palco i Qotsa fan subito del loro meglio per ingraziarsi il pubblico, ma “Millionaire” cantata da qualcuno che non sia quel pazzo di Oliveri perde un po': forse per questo ci attaccano subito dietro “No One Knows”, e l'entusiasmo va alle stelle.
Niente da dire sulla scelta dei pezzi, davvero: qualcosa di nuovo, fra le riuscitissime “My God Is The Sun”, “Smooth Sailing”, “Fairweather Friends” e la pallosissima, almeno per me “The Vampire Of Time And Memories”, e qualcosa (molto) di vecchio. E se pezzi come “Feel Good Hit Of The Summer” (sempre fantastica), “Go With The Flow”, “Little Sister” e “Sick Sick Sick” ce li si poteva anche aspettare la sorpresona arriva con “Better Living Through Chemistry”, espansa all'impossibile e granitica come non mai. Grazie Josh per questa canzone. Pretendere qualcosa dal primo omonimo album sarebbe stato troppo? Forse, infatti lo saltano a piè pari e finiscono con la classica “A Song For The Dead”, con tanta energia ma anche tanto casino sonoro. Perchè io il concerto l'ho apprezzato, anche se è durato poco più di un'ora e se ne sono andati senza salutare, ma in certi momenti non ci si capiva un cazzo: che te ne fai di tre chitarre se ancora un po' e non le distingui?
Rimangono poi la polvere addosso, gli occhiali senza lenti di un mio amico che ha avuto la malaugurata idea di portarli nel pogo, il formaggio avanzato, i bagarini in continuo movimento che fanno i saldi all'uscita, i poster dei Qotsa a un euro con dall'altra parte gli Iron Maiden con un'immagine sgranatissima dai pixel grossi come case, i millemila chilometri per tornare a casa, la red bull in autogrill che fa cagare e testimonia ancora una volta la mia tolleranza alla caffeina e, infine, una doccia alle 4 e trenta di mattina col gatto che gratta contro la porta del bagno. Mi vien la tentazione di non dormire neanche prima di andare a lavorare e buttar giù subito questa sequela di vaccate, ma due ore e trenta di sonno possono sempre servire. Quasi a un cazzo in realtà, ma sono sopravvissuto. Vediamo l'anno prossimo cosa ci aspetta in quel di Bologna.
P.S. Sì, è l'arena Joe Strummer, ma io continuo a chiamarla col vecchio nome che mi vien più comodo. Che mi ricorda quando avevo pure gli accrediti per entrare all'Indipendent...poi si vede che han visto come scrivo, ed ora entro pagando. Che scribacchino da strapazzo, ora guardo un fil e poi magari m'addormo.


P.P.S. Spero non ci siano errori, sono troppo scazzato per rileggere tutto sto popò di roba.

mercoledì 19 marzo 2014

The Notwist at Village Underground, Shoreditch, London – Live Report 18 Marzo 2014

Il Village Underground è il tipico posto che ci passi davanti quasi tutti i giorni e che non immagineresti che dentro è una figata, che per chi conosce Shoreditch è situato proprio sotto i due vagoni della metro adibiti ad ufficio proprio sopra un posto particolarmente famoso anche per avere le mura che ospitano opere di street art che cambiano in continuazione.

Alle otto, ad aprire la band tedesca ci ha pensato Jel, che fa parte della scuderia Anticon, membro dei 13 & God, progetto parallelo dei fratelli Acher degli stessi Notwist. Infatti durante l'apertura della serata in chiave alternative hip-hop mi sono posto il dubbio se fosse in qualche modo correlato ai tanti progetti del collettivo della Anticon, difatti poi quando è salito sul palco Markus Acher con la sua chitarra con logo della label e a casa dopo aver controllato ho leggermente bestemmiato, così tanto per confermare il fatto che insomma non era uno sfigato qualunque che stava giocando con beat samples reppandoci su, ma un producer con i coglioni e miao.

The Notwist - London | Foto by Donato Panaccio
Il concerto era sold out, tant'è che abbiamo lasciato un caro amico a spasso con immenso dispiacere, perché questa è stata un occasione d'oro per assistere ai principali esponenti indietronici. E non è da poco perché la loro versatilità di far confluire in due ore di concerto un repertorio che ha assorbito negli anni innumerevoli influenze di una scena in continua evoluzione è una cosa che ti lascia segnato a vita.

A colpire particolarmente è l'assetto mininal dell'intero set del sestetto che ha da poco rilasciato un album per Sub Pop, dopo aver lasciato la tanto amata Morr Music, etichetta indipendente diventata punto di riferimento per gli appassionati di musica elettronica alternativa e glitchy IDM. E questo cambiamento si fa sentire enormemente che seppur ai più i nuovi brani possano piacere o meno quando eseguano i brani di Neon Golden o di You, The Devil & Me c'è un dislivello di impatto sonoro conseguentemente emotivo senza paragoni. Ad arricchire la performance - impeccabile - ci hanno pensato micro led posizionati in verticale ed orizzontale ai lati dei musicisti, che hanno assistito gli impulsi elettronici e dato una dimensione al live soddisfacente in tutte le sue forme.

Notwist - Village Underground
Foto by Donato Panaccio
Signals è stato il brano di apertura, intro del nuovo Close To the Glass che ha rotto il ghiaccio, un po' in sordina. Dopo un piccola accelerata se non sbaglio con Kong di cui è stato realizzato un nuovo videoclip, per poi subito spiazzare gli spettatori con Boneless. Vengo assalito da uno strano senso di angoscia fatto ad occhi chiusi e di viaggi in treni, velocità con Notwist quasi sempre in cuffia, di sollievo per tutti quei tremendi ritardi di trenitalia, insomma credo che un po' a tutti sia stato un colpo ascoltare Gravity, Gone Gone Gone, Pilot, This Room, Consequence...


Per rispondere a Virginia (che saluto) che mi aveva chiesto se suonassero ancora con i telecomandi wii, sì Martin Gretschmann suona ancora i telecomandi della nintendo. Se lei non me l'avesse detto probabilmente non ci avrei fatto caso, e in realtà nei pezzi come ad esempio Pick Up the Phone ho cercato di capire come divaolo suonasse quei glitch ma nulla, resta il mistero: qualcuno si faccia avanti per chiarirmi le idee, please!

One With the Freaks è stata la chicca della serata, piacevole ascoltare dal vivo per ricordi di visioni al cinema della suddetta, presente nel film del neo Oscar Paolo Sorrentino in L'Amico di Famglia, [attenzione questo è il finale del film]. Dopo ben due ritorni sul palco, in cui nel secondo molti stavano per abbandonare la sala e perdersi un finale epico e intimista con Gloomy Planets, tra il disagio di rievocazioni di disagi, tra il candore che solo un songwriting come quello dei Notwist riesce a comunicarti in amcizia: dai zioooo è tutto okay, take it easy!; il concerto è terminato e si è fluiti via.

The Notwist - Village Underground, Shoreditch, London
Foto by Donato Panaccio

lunedì 23 dicembre 2013

OnlyFuckingLabels, tutto fottutamente perfetto.

Prima di iniziare due cose. Non c'entrano una ceppa col festival quindi se volete sbattetevene il cazzo e saltate le prime tot righe.

1) Ora chi legge sicuramente penserà: “ah! Ma cazzo, ci credo che questo dice tutto 'sto gran bene di 'sta manifestazione visto che oltre a essere media partner era anche uno degli invitati come etichetta”. In tal caso mi sentirei in obbligo, oltre a specificare che tutto ciò del quale disquisirò è vero e, che io in primis odio autoreferenzialità, conflitti d'interesse e qualsiasi cosa rendi vana, se non subdola, una qualsiasi esperienza di confronto, non avrei mai trovato la voglia di scrivere queste due brutte righe su una manifestazione che, personalmente, credo valga la pena portare a più occhi, orecchie e cuori possibili se non fosse stata davvero una bellissima esperienza. Il che ci porta anche al punto due. 2) Mi rompo enormemente il cazzo a scrivere. Non ho tempo voglia e, spesso, competenza. Quindi questa roba prendetela più come un'esperienza personale e uno sfogo più che, come recita la sezione della nostra blogzine, un “live report”.


Fatto sta che questa è la terza edizione dell'OnlyFuckingLabels ed io non ero a conoscenza che ve ne fossero state altre due. Il Sisma è un centro sociale ma uno vero dove si fuma dentro e ci sono i cani. Un centro sociale tenuto bene (vedere anche solo alla voce cessi con carta igienica), accogliente e che se vivessi a Macerata potrebbe diventare tranquillamente la mia seconda casa. Non so di preciso chi abbia organizzato tutto l'ambaradan (non è un live report ricordatevelo) quindi spero di non mancare di rispetto o considerazione a nessuno dicendo che mi sono interfacciato prima, durante e dopo il festival con Alessandro Bracalante di Only Fucking Noise nonché cantante dei Nevroshockingiochi ma ho conosciuto anche Edoardo Grisogani dei Tetuan (bel gruppone , sentitevi l'ultimo Qayin) che pare fosse anche lui, insieme a tanti altri con i quali non ho avuto il piacere di bestemmiare, nello staff. (questa riga è da vedere in logica di chi sono i ganzi che hanno creato tutta 'sta situa figa). Due palchi, due sale, una grande e una piccola. In mezzo un corridoio di banchetti per 18 etichette. 13 band, ognuna 25 minuti sul palco. Gli act si alternavano per il cambio palco nelle due stanze dando modo alle persone di incanalarsi nel corridoio delle label e poter così spulciarsi con calma tra un cambio e l'altro le varie distro. Noi arriviamo presto. Si è in ritardo sulla tabella di marcia come è anche normale che accada in situazioni così complicate da gestire ma il posto inizia a riempirsi già dalle 18:00. Alle 20:00 inizierà ad essere davvero gremito. Sfortunatamente ho visto pochi concerti dei quali parlerò brevemente ma ciò che posso dirvi è che: c'era un fonico in una gabbietta (ovvietà certo, siamo ad un festival. Anche se...va bene lasciamo perdere) al quale va il premio “tasso di tolleranza sonora e rumorosa 2013” e che credo abbia lavorato più che bene ma io che cazzo ne capisco e poi il punto è che c'era. Yeah! Tredici band che si mettono d'accordo per la backline. WOW! IL Cast: beh, figata. Suonavano alcune tra le migliori nuove leve delle Marche rumorose come gli A.N.O. C'era Vanni Fabbri aka La Tosse Grassa ma non su un palco, a 'sto giro, bensì alla ricerca di nuovi adepti del suo Culto in un banco carico di energia spirituale che dai tempi della Carrà in prima serata non si vedeva. C'erano i Marnero che Nico era uno sbronzo mezzo pieno o ancor meglio mezzo vuoto visto il pessimismo di chi sopravvive al caso e al caos. Quindi pestoni, critiche (Ciao Manuel sei tutto il nostro Agnelli. Ciao Stato sei tutto il Sociale di cui ho bisogno. Bau bau), ringraziamenti e i Marnero spaccano e lobotomizzano.

Ti fai un giro e ne becchi di gente. Tutti presi bene. Vedi questi ex ventenni (famo anche ex trentenni) che hanno un'etichetta che si scambiano dischi come figurine e parlano di musica che ancora esiste per le immense masse del pubblico indipendente, quello che quando spegni facebook scompare e ti svegli sudato e bagnato. Vedi gente che è lì per la musica, per comprare dischi. Per comprare dischi. Per comprare dischi. Si, si, c'è scritto davvero comprare dischi. Non ho visto neanche uno avvicinarsi e provare a cliccare sul mio banchetto cercando il play di bandcamp o il mipiace di condivisione social. Gli Ebrei arrivano tardi che ormai Il Ferri è un vip ed è costretto a firmare autografi anche in autogrill. Sul palco a me piacciono sempre, son troppo di parte, però Carna su quel cazzo di palco ha una personalità davvero predominante che mi fa vibrare sempre i peli sul petto e Bubu alla chitarra è la creatura più punk e sbronza che abbia mai conosciuto. E' chiaramente la reincarnazione di John Belushi versione anoressica e che non ci azzecca un cazzo ma mi andava di scriverlo. E niente. Torni indie-tro (eheh che sagace che sono. Se mi incontrate per strada non picchiatemi, ho gli occhiali) e becchi un po' di gente che ha e altra che vuole aprirla, una webzine. Bell'affare amico. Becco Emanuele di Roarmagazine e parliamo di uffici stampa e altre cazzate che non ricordo ibridando divinità con animali e ascoltando i lamenti di un Nicholas Roncea alla deriva in un mare di limoncello presso il banchetto Canalese Noise (bella roba, buttateci un occhio se vi capita). Vado a vedere Io Monade Stanca
Il Nic ha bestemmiato tutta la sera a mo di ka mate ka ora. E' stra gasato: può farcela; è partito coi mandarini per finire al limoncello. Salgono sul palco ed è subito capolavoro. Rock stortissimo, inseguibile con la testa che però è genialmente alleggerito dalla presenza scenica di un Roncea spastico e dalla perfetta sintonia di un trio che sembra unire intrattenimento circense a vere spazzate math e virtuosismi che davvero oh! Personalmente spettacolari e il fatto che non suonino molto di più e non godano di molta più risonanza di quella che già hanno rientra nei vari motivi che l'Italia bla bla bla. Esperti, concreti e una delle band italiane che davvero sa calpestare i palchi in virtù anche della grande esperienza estera accumulata. 

In conclusione qui non stiamo a far rimproveri o luoghi comuni del tipo “Ah Manuel Agnè! Hai visto quanto è morta la nostra cultura?!” o cose poco dissimili anche se ci starebbero alla grande. Boh forse non facendolo l'ho appena fatto. In ogni caso qui c'è semplicemente da notare che non tutto è perduto e che chi si lamenta, me in primis, per 666 giorni l'anno può, in situazione come queste, finalmente riprendere energia e stimolo per rinvigorire quella che è una passione che non morirà mai grazie agli addetti ed a un pubblico che si è rivelato decisamente perfetto e in cerca di un qualcosa che ha trovato. 

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