Sono a Berlino da quasi due settimane e tra la ricerca di un tetto e gli impegni di lavoro, sento di non aver ancora fatto una serata come si deve. Al momento di uscire di casa le ultime reminiscenze di live risalgono alla "delusione Skrillex" datata 21 aprile. E' decisamente il momento di passare oltre.
Nonostante il tempo non sia dei migliori e i miei coinquilini non siano nel mood più adatto per una serata lontana dalle coperte, rompo comunque il ghiaccio incurante dell'inusuale uscita domenicale. Chiudo la porta di casa e mi incammino verso la zona industriale di Neukolln con l'obbiettivo di raggiungere il Bei Roy, locale consigliatomi da un amico quasi alla cieca e che, da novellino quale sono, non so bene come aspettarmi. L'unica cosa che so per certo è si suonerà elettronica, genere che, a braccetto con il punk, pare essere il prediletto dal locale. Continuo imperterrito ad infilare i passi accompagnato dalla pioggia ormai in costante crescita finchè, in men che non si dica, raggiungo l'indirizzo prefissatomi; ai miei occhi il posto si presenta come un ammasso di capannoni prefabbricati che tutto lasciano immaginare tranne che al loro interno, nascosta da qualche parte, stia brulicando qualche tipo vita notturna.
Il calcestruzzo degli stabili industriali circostanti non si lascia sfuggire l'opportunità di trascinarmi per gli angoli più bui della zona giocando a ping-pong con il flebile beat che continuo a sentire in lontananza, unica guida disponibile per raggiungere il locale.
Dopo qualche minuto di fatica riesco ad eludere le pareti prefabbricate e raggiungo finalmente una porta sulla quale un A4 fotocopiato recita una sfilza di parole generose di "h" e di umlaut tra le quali isolo la sequenza di lettere "Bei Roy". Ci siamo.
Salgo le scale sgangherate e "spiastrellate" lasciandomi guidare questa volta da un tubo rosa fluorescente che corre verso l'alto fino al quarto piano, per poi finire la sua corsa ai piedi di un banchetto al quale una ragazza mi accoglie sorridente indicandomi il prezzo di entrata.
L'ambiente scarno e improvvisato del Bei Roy è tra le cose più accoglienti viste finora.
Entrando mi si avvicina un ragazzo che, reso muto dal volume assordante delle casse, mi fa quello che intendo essere il segno internazionale della birra, indicandomi un piccolo angolo illuminato a fondo locale. Accetto ben volentieri l'indicazione e sorseggiando butto un occhio al palco. Palesemente in ritardo cronico, mi perdo almeno un terzo del live di Bad Speler, uno scalmanato e barbuto olandese in camicia a quadri e infradito; un bilanciato mashup tra la fisicità prorompente di Jack Black e le sonorità minimal di Shigeto.
Conclusa la magistrale performance, condita con head benging e passetti di danza degni del miglior Repetto, è la volta del francese Debmaster il quale, salutando il ristretto ma attentissimo pubblico, sale sul palco armato di pettine sonico.
La cassa dritta e nervosa, unita alle sonorità a tratti acide si portano dietro tutto il meglio dell'influenza IDM con qualche venatura cupa di estrazione dark.
Mentre lo guardo tamburellare tra drum machine e aggeggini marchiati korg ripenso alle mossette ridicole e noiose di Skrillex viste qualche settimana fa e capisco quanto vedere gente come questa esibirsi in posti come questo aiuta a riappropriarsi del reale valore delle cose, quando per fare musica fatta bene non sono necessari né i trend del momento né i fasti di un palazzetto colmo di gente, ma bastano quattro mura, poche persone interessate e tanta passione. Una piccola lezione (…e ho il sentore sia solo la prima di una lunga serie) sia da parte del Bei Roy che da parte degli amici electro-francofoni, ai quali uno "chapeau!" spetta davvero di diritto.
Testo: Fabio Valesini
© Foto: Bei Roy
0 commenti:
Posta un commento