mercoledì 28 marzo 2012

Akron/Family + Kid Millions @ Hancock, Interno 24 (26 marzo 2012)

Questa è una recensione truffa, un reportage mancato, un aborto di descrizione obiettiva. Questo è il modo in cui non si devono fare le cose, quello di sgusciarsela. La menzogna. O la semi-menzogna. A chi può far mai male una mezza bugia? D'accordo, sono arrivato in ritardo, una mancanza, l'inutilità della puntualità. Ma, come il più capace dei fotografi, il più felino degli spadaccini, proverò lo stesso a fare questo lavoro insidioso/totale/famelico. Proverò a essere arrivato a metà concerto e a dirvi ugualmente come è stato: Akron/Family con Kid Millions degli Oneida alla batteria. HereIStay e Interno 24. Tutti insieme, pubblico pressato come sardine in una scatoletta, all'Hancock.
Entro e Miles Seaton sta eseguendo uno sciabordone ripetitivo, una nenia monosillabica, un mantra mediatico. Mentre scalo la vetta che porta al palco, sudo e guardo le facce. "Another sky" sfodera tutte le sue declinazioni modulari. Immagino di ascoltare i No Age, in macchina. Sul fondo della Fossa Delle Marianne.
Chi è preso bene: occhi chiusi a negare tutto quello che non sia questo splendido terzetto di geniacci americani. La schiavitù del piacere. Tuffarsi in un magmatico respiro che conduce dove il piede non tocca. La follia dell'apnea. Ridendo, condividendo il canto, questo senso di pace, eppure animazione vitale. Prendere il microfono, tutti, in condivisione. Inneggiare una melodia. Quell'ascolto in dormiveglia che il fotografo Alessandro Murgia ha saputo delineare alla perfezione.
Chi è preso male: fa capo a quel sistema d'ascolto, tutto intellettuale, che ragiona secondo rigidi schemi selettivi. Loro come suonano, la capacità di prendere in mano qualsiasi strumento, farlo proprio ed esprimercisi in piena coscienza, l'interpretazione dei generi, tutta di estrazione statunitense, il completo miscelarsi, seppur con picchi di egocentricità Velvet Underground ("White light/White heat") e per nulla Sonic Youth ("Daydream nation").
Tempi lunghi come un romanzo del 1939. John Fante, John Steinbeck. La psichedelia lisergica di Akron/Family, in quel passaggio tra sessanta e settanta, chiama a rapporto corde spigolose di Seth Olinsky, appuntite come cardi e sole desertico, distorsioni (della realtà) messe in cassetta da Ken Kesey sul pulmino dei Merry Pranksters, e virate ai giorni nostri. Con un animo che dai primi The Album Leaf passa ultimi Thee Silver Mt. Zion (tutte le declinazioni, in particolare con Tra-La-La Band) mettendoci in mezzo gli Animal Collective, e sfiora tutto l'underground degli ultimi dieci anni. L'underground che ingloba una certa elettronica, il senso casalingo del rumore bianco con clap hands.
Faccia a faccia con Miles, che mi ruba il taccuino per disegnarci tante palline (sei) in un estremo bisogno di condivisione, di creazione/interazione. In cambio mi offre la sua voce, la possibilità di interpretare il suo. Il suo. Sono sul baratro della commozione. Manco ci conoscessimo come vecchi amici, mi saluta poi. Pacca sulla spalla. Una laurea in lingue che non vale la capacità di ringraziare, chiedere umile perdono per le stonature, salutare, dire due cose su quella sorta di crogiolo che è l'Interno 24 in queste ultime settimane. Chiedergli come si viaggia in aereo sin qui, se ha assaggiato il formaggio, come mai il tatuaggio sulla schiena. Come mai.
La vocalità, prisma del rimanente duo, spalleggiato da un Kid Millions quantomai eclettico e sempre a cavallo del suo rango, è una sorpresa che dal vivo esplode in mille coriandoli. Immediata, acustica, palpabile. Possono fare a meno di tutto, meno che di se stessi. Perché lo strumento in fondo è solo il mezzo più semplice con cui comunicare un messaggio. E le introspezioni etnomusicali, virate savanesche, afro-colonial (nominerei un Paul Simon) sono il simbolo di come tutta la tradizione da cui provengono, seppur basilare, possa essere spiegazzata, tirata e distorta. Malleabile a proprio piacere. In pura, bruna materia cosmica.
Un solo fiume, milioni di letti. Una testimonianza. Una porzione. Una beatitudine. Una truffa. Una mancanza. Un ritardo. Ma con cura e tanto amore.
Scaletta:
"Gravelly mountains of the moon"
"I came I saw"
"I know what"
"So it goes"
"Colors/City waters"
"Ramblin"
"Sheets"
"Till the morning"
"Vox"
"Another sky"
"Boundless" "Crix"
© Foto di Paola Corrias





0 commenti:

Posta un commento

 
©2011 Stordisco_blog Theme Design by New WP Themes | Bloggerized by Lasantha - Premiumbloggertemplates.com | Questo blog non è una testata giornalistica Ÿ