Foto di Stefano Lilla
Il Ligera di Via Padova è un bel
locale. Al primo piano appare come una normale enoteca, l'arredamento
è sui toni dell'arancione, i baristi sono giovani e carini e in
diffusione ci sono i Clash. Il concerto dei The Men si svolgerà al
piano di sotto, uno scantinato lungo e stretto che puzza di umido e
hardcore. Praticamente perfetto per ospitare il live che si prospetta
adrenalinico.
Io e Luca arriviamo presto per prendere un buon posto,
e scopriamo che ci saranno due gruppi spalla. Temporeggiamo bevendo
birra, il locale è semideserto, tranne per qualche sparuto punk
vecchia maniera con chiodi borchiati, toppe dei Black Flag e anfibi
commerciali (non ci sono più i vecchi anfibi da esercito italiano di
una volta). Passano due ore e diverse birre, intanto il posto si è
riempito di nostalgici del Virus di Via Correggio e diafane
fotomodelle da copertina del catalogo di H&M, con shorts di pelle
e stringate indie. Io e Luca con il nostro stile da grunge
sopravvissuti al 1994 sembriamo non fuori tempo ma fuori luogo. Ci
consola avvistare il batterista dei The Men che indossa una vera
camicia di flanella come non se ne vedono dai tempi di Vitalogy. Gozzovigliando e chiacchierando con personaggi più o meno noti ci perdiamo il primo gruppo spalla, gli Shiva Racket. E va beh. Siamo pronti invece per i Wemen di Carlo Pastore, che per l'occasione indossa una
Fender Mustang azzurra, perfettamente intonata alla sua camicia a
righe. A chi sarà venuta l'ideona di far aprire il concerto dei The
Men ai Wemen? Fa già caldissimo e lo si evince dall'aspetto bagnato
di Pastore e compagnia. Iniziano a mescolarsi l'odore di umido, di
hardcore, di impazienza e tatuaggi sudati. I Wemen sono forti, molto
roccheroll ma con aperture melodiche quasi pop, stilemi punk e
ritornelli ammiccanti, tipo divertiamoci un po'che domani si muore.
Il bello di 'sto scantinato è che una volta finito il live la band
deve trascinare via amplificatori e batteria facendosi strada in
mezzo al pubblico, operazione che si rivela svelta nonostante ormai
questo buco sottoterra sia pieno di gente.
Mentre i Wemen smontano, salgono sul palco di già i The Men: attaccano così al volo che non c'è quasi tempo di accorgersi che stanno cominciando. Infatti per i primi due brani la situazione è abbastanza ferma (sarà anche per i problemi acustici dei primissimi minuti), ma quando attaccano i pezzi dell'ultimo disco “Open you heart” la situazione degenera in un pogo scalmanato da veri settantasettini. Io e Luca ci ripariamo su un lato, proprio sotto cassa, dove perderemo l'udito ma guadagneremo il desiderio di avere un gruppo punk tutto nostro. Il live dei The men dura una cosa tipo quaranta minuti, ma sono quaranta minuti devastanti. Cantano in tre (i due chitarristi e il bassista), e nonostante lo spazio angusto e il palco alto poco più di 30 centimetri, sono giganteschi, e ciò che li rende così giganteschi è il muro di suono compattissimo e senza tregua con cui ci investono impietosamente. E'adrenalina purissima e nessuno, proprio nessuno può esimersi dal fare headbanging.
Al netto di quattro birre e due vodka lemon, la visione del vero spirito del rock'n'roll si manifesta davanti a me sotto forma di questi quattro newyorkesi capelloni, sudati e scatenati, quelli che ti fanno dire che il rock non è morto, anzi, è più vivo di me a fine concerto.
La sala si svuota in fretta e abbiamo l'occasione di scambiare due chiacchiere al volo con loro, la cui unica preoccupazione sembra essere se il live ci sia piaciuto o no. Ci firmano il vinile di “Leave home” (il batterista ci verserà sopra una copiosa quantità di acqua, scusandosi in quattro lingue) e ce ne torniamo a casa quasi sordi ma di certo più punk di prima.
Scaletta:
Electric
Without a face
Turn it around
Open your heart
I saw her face
Freaky
Different dayzzz
Take me to the other side
Bataille
The brass
Mentre i Wemen smontano, salgono sul palco di già i The Men: attaccano così al volo che non c'è quasi tempo di accorgersi che stanno cominciando. Infatti per i primi due brani la situazione è abbastanza ferma (sarà anche per i problemi acustici dei primissimi minuti), ma quando attaccano i pezzi dell'ultimo disco “Open you heart” la situazione degenera in un pogo scalmanato da veri settantasettini. Io e Luca ci ripariamo su un lato, proprio sotto cassa, dove perderemo l'udito ma guadagneremo il desiderio di avere un gruppo punk tutto nostro. Il live dei The men dura una cosa tipo quaranta minuti, ma sono quaranta minuti devastanti. Cantano in tre (i due chitarristi e il bassista), e nonostante lo spazio angusto e il palco alto poco più di 30 centimetri, sono giganteschi, e ciò che li rende così giganteschi è il muro di suono compattissimo e senza tregua con cui ci investono impietosamente. E'adrenalina purissima e nessuno, proprio nessuno può esimersi dal fare headbanging.
Al netto di quattro birre e due vodka lemon, la visione del vero spirito del rock'n'roll si manifesta davanti a me sotto forma di questi quattro newyorkesi capelloni, sudati e scatenati, quelli che ti fanno dire che il rock non è morto, anzi, è più vivo di me a fine concerto.
La sala si svuota in fretta e abbiamo l'occasione di scambiare due chiacchiere al volo con loro, la cui unica preoccupazione sembra essere se il live ci sia piaciuto o no. Ci firmano il vinile di “Leave home” (il batterista ci verserà sopra una copiosa quantità di acqua, scusandosi in quattro lingue) e ce ne torniamo a casa quasi sordi ma di certo più punk di prima.
Scaletta:
Electric
Without a face
Turn it around
Open your heart
I saw her face
Freaky
Different dayzzz
Take me to the other side
Bataille
The brass
1 commenti:
Condivido ogni singola parola, e anche la posizione sotto al palco era la stessa: davanti, a sinistra. Però beccare l'unico pezzo senza vocals no, dai.
Ah, un'altra cosa: per provare il microfono il bassista ha esordito con un sonoro "Stucazz" al posto del canonico "SSSSSA-SSSSSA". Sospetto abbia origini abruzzesi.
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