Foto by Valeria Pierini |
Un anonimo martedì sera è forse
l’involucro più adatto ad accogliere l’esibizione in punta di piedi dell’ex
leader dei Constantines. I
presenti sparpagliati in piccole unità tra gli scaffali del locale contribuiscono
alla percezione di prender parte, in quanto membri di un’accolita di fedeli, a
un’esperienza di intimità.
Rimosse le architetture sghembe
dei Constantines, sopravvive un songwriting essenziale e asciutto, appena
scosso da increspature emotive accennate dalla modulazione del cantato. È la
voce, a cui la prova su disco non rende completamente giustizia, a guadagnarsi
il centro della scena: dalla penombra si insinua con discrezione e con
impressionante limpidezza, si articola in sfumature impercettibili eppure
vivide che persistono caparbie tra le pareti.
La chitarra subisce la supremazia
di una performance vocale incisiva e peculiare, e tuttavia si ritaglia spazi
nell’accennare arpeggi morbidi che si distendono timidamente a sorreggere le
parole.
Il suono, svuotato dagli elementi
che in “Provider” erano chiamati ad arricchire e consolidare, non ne esce
depotenziato, ma anzi acquisisce inedito vigore e impatto singolare, in
un’inaspettata quanto efficace conversione degli stilemi apparentemente fissati
su disco.
La solitudine dell’uomo in
camicia a quadri che si espone ai nostri occhi e timpani voraci ci costringe
all’attenzione più silente e rapita, come nella consapevolezza del carattere
effimero e sospeso di una forma espressiva così discreta nella sua
immediatezza; la dedizione dei presenti è palpabile eppure dimessa, in perfetta
simmetria con l’attitudine di Webb.
L’insaziabilità ci spinge ad
accogliere con frustrazione la conclusione del live dopo poco più di mezz’ora;
il disappunto lascia però subito spazio alla comprensione della necessità di
racchiudere la suggestione del momento entro confini temporali, che ne
preservino la penetrante fragilità.
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